Santa Messa 9-2-22
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BEATO LEOPOLDO DA ALPANDEIRE
“Vedi, fratello, diventiamo religiosi per allontanarci dal mondo, e ora finiamo perfino sui giornali”, fu il commento che fece fra’ Leopoldo da Alpandeire Marquez Sánchez (1864-1956) a un confratello nel suo 50° anniversario di vita religiosa, fatto che venne riportato da alcuni giornali della sua città.
Dopo più di mezzo secolo dalla sua morte, questo umile frate cappuccino, con la barba bianca e lo sguardo sereno, è stato beatificato domenica 12 settembre 2010 a Granada in una cerimonia presieduta da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Benedetto XVI.
“La sua santità non ha consistito nel realizzare grandi opere sociali, creando ospedali o grandi ONG”, ha detto parlando a ZENIT di fra’ Leopoldo il suo vicepostulatore, padre Alfonso Ramírez Peralbo OFMCap. “Non apparteneva a dinastie nobili, non parlava da cattedre o pulpiti, perché non brillava per il suo sapere. Non aveva neanche lasciato il suo convento per diventare missionario in terre lontane”.
Per padre Ramírez, fra’ Leopoldo ha raggiunto la santità nelle piccole cose: “Faceva ogni cosa come se fosse la prima volta. Era quella freschezza di ogni suo atto, ripetuto in modo monotono, che dava un senso soprannaturale e riempiva tutta la sua vita”.
Oggi i pellegrini che visitano ogni anno la tomba di fra’ Leopoldo sono oltre 800.000. “Credo che questo dica tutto”, ha commentato il vicepostulatore.
Per la beatificazione di questo frate si attende la presenza di circa 300.000 fedeli provenienti da varie località, soprattutto dal sud della Spagna, dove la devozione nei suoi confronti è maggiore. La cantante andalusa Rosa López aprirà la cerimonia con il canto dell’Ave Maria, accompagnata dal pianista Alfonso Berrío.
Infanzia e gioventù piene di pietà
Francisco Tomás, il suo nome di battesimo, nacque ad Alpandeire, un piccolo paese situato all’estremità della serra di Jarestepar, a sud di Ronda, nella provincia di Málaga.
Da piccolo allevava pecore e capre e coltivava la terra, compiti che svolgeva mentre recitava il rosario. “Chi lo ha conosciuto racconta che quando diceva ‘Ave Maria, piena di grazia’ sembrava che stesse vedendo e parlando con Nostra Signora”, ha riferito padre Ramírez.
Fin da piccolo coltivò virtù come la generosità e il distacco dai beni: “Condivideva la sua merenda con altri pastorelli più poveri di lui, dava le proprie scarpe a un povero che ne aveva bisogno o consegnava il denaro guadagnato nella vendemmia di Jerez ai poveri che incontrava sulla via del ritorno”, ha aggiunto il vicepostulatore.
Vocazione di cappuccino
Francisco Tomás scoprì la sua vocazione dopo aver ascoltato la predicazione di due cappuccini a Ronda nel 1894, per celebrare la beatificazione del cappuccino fra’ Diego José de Cádiz.
A 35 anni vestì l’abito nel convento di Siviglia, cambiando il proprio nome da Francisco Tomás a Leopoldo, secondo gli usi dell’Ordine. “Il suo ingresso nella vita religiosa non fu una conversione clamorosa, non rappresentò un cambiamento radicale della sua vita. Fu solo un sublimare impegni e atteggiamenti coltivati fino a quel momento”, ha spiegato padre Ramírez.
“Il suo amore per Dio, la preghiera, il lavoro, il silenzio, la devozione per la Vergine e la penitenza caratterizzavano già la sua vita”, ha rimarcato. “La croce e la passione di Cristo sarebbero stati da quel momento oggetto di meditazione e imitazione”.
Il 16 novembre 1900 fece la sua prima professione; da allora si dedicò all’orto nei conventi di Siviglia, Antequera e Granada. Il 23 novembre 1903 emise a Granada i voti perpetui.
La strada, il suo nuovo chiostro
Nel 1914 fra’ Leopoldo si recò di nuovo a Granada, dove rimase fino alla morte e ricevette l’incarico di elemosiniere. “Da quel momento le montagne, le valli, le vie polverose, le strade sarebbero state il tempio e il chiostro della sua vita cappuccina”, ha raccontato padre Ramírez.
Nonostante la sua grande sensibilità per la vita contemplativa, il contatto con gli uomini divenne il suo nuovo mezzo per raggiungere la santità. Lungi dal distrarlo, ciò lo aiutava a uscire da se stesso. “Fu un’occasione per caricare su di sé il peso degli altri, per comprendere, aiutare, servire, amare. Era, come ha detto un suo devoto, ‘distinto ma non distante’”.
Lo si vedeva per le strade a piedi nudi, lo sguardo rivolto verso il cielo e il rosario in mano. Attirava così l’attenzione e l’aiuto dei passanti. Ogni volta che riceveva un’elemosina recitava tre Ave Maria. “Solo ascoltarle, dicono alcuni, faceva venire i brividi”, ha segnalato padre Alfonso grazie alle testimonianze che ha raccolto come vicepostulatore.
Durante la persecuzione religiosa spagnola del 1936, fra’ Leopoldo non fu esente da calunnie o rifiuti: “Ricevette insulti e minacce di morte. Quasi tutti i giorni lo prendevano a sassate, e una volta sfuggì alla lapidazione perché alcuni uomini intervennero in sua difesa”.
Nel 1953 cadde dalle scale, fratturandosi il femore. Riprese a camminare con l’aiuto di due bastoni. “Così poté dedicarsi totalmente a Dio, che era stato l’unica passione della sua vita”, ha detto il vicepostulatore.
Fra’ Leopoldo morì 9 febbraio 1956. “La notizia provocò un grido di dolore che da ogni angolo della città confluiva verso l’umile convento”, ha scritto fra’ Angel de León in un articolo intitolato “El día en que murió Fray Leopoldo” (“Il giorno in cui fra’ Leopoldo è morto”), pubblicato sulla pagina web ufficiale della beatificazione (http://www.frayleopoldo.org/).
Migliaia di abitanti di Granada accorsero a vedere il suo corpo senza vita. “La sua cripta è testimone dello scorrere silenzioso di infinite lacrime di riconoscenza. Molti uomini messi alla prova dalla vita narrano prodigi sperimentati sulla propria carne o su quella di persone care”, scrive fra’ Ángel.
La fama di fra’ Leopoldo si diffuse “a macchia d’olio, senza alcuna forma di propaganda”. Il suo vicepostulatore dice che il frate “testimoniò il mistero di Cristo povero e crocifisso con l’esempio e la parola, al ritmo umile e orante della vita quotidiana”.
Autore: Carmen Elena Villa
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ZENIT |
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura 1 Re 10, 1-10
La regina di Saba vide tutta la sapienza di Salomone.
Dal primo libro dei Re
In quei giorni, la regina di Saba, sentita la fama di Salomone, dovuta al nome del Signore, venne per metterlo alla prova con enigmi. Arrivò a Gerusalemme con un corteo molto numeroso, con cammelli carichi di aromi, d’oro in grande quantità e di pietre preziose. Si presentò a Salomone e gli parlò di tutto quello che aveva nel suo cuore. Salomone le chiarì tutto quanto ella gli diceva; non ci fu parola tanto nascosta al re che egli non potesse spiegarle.
La regina di Saba, quando vide tutta la sapienza di Salomone, la reggia che egli aveva costruito, i cibi della sua tavola, il modo ordinato di sedere dei suoi servi, il servizio dei suoi domestici e le loro vesti, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tempio del Signore, rimase senza respiro. Quindi disse al re: «Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua sapienza! Io non credevo a quanto si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non hanno visto; ebbene non me n’era stata riferita neppure una metà! Quanto alla sapienza e alla prosperità, superi la fama che io ne ho udita. Beati i tuoi uomini e beati questi tuoi servi, che stanno sempre alla tua presenza e ascoltano la tua sapienza! Sia benedetto il Signore, tuo Dio, che si è compiaciuto di te così da collocarti sul trono d’Israele, perché il Signore ama Israele in eterno e ti ha stabilito re per esercitare il diritto e la giustizia».
Ella diede al re centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono più tanti aromi quanti ne aveva dati la regina di Saba al re Salomone.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 36
La bocca del giusto medita la sapienza.
Affida al Signore la tua via,
confida in lui ed egli agirà:
farà brillare come luce la tua giustizia,
il tuo diritto come il mezzogiorno.
La bocca del giusto medita la sapienza
e la sua lingua esprime il diritto;
la legge del suo Dio è nel suo cuore:
i suoi passi non vacilleranno.
La salvezza dei giusti viene dal Signore:
nel tempo dell’angoscia è loro fortezza.
Il Signore li aiuta e li libera,
li libera dai malvagi e li salva,
perché in lui si sono rifugiati.
Canto al Vangelo Gv 17,17
Alleluia, alleluia.
La tua parola, Signore, è verità:
consacraci nella verità.
Alleluia.
Vangelo Mc 7, 14-23
Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».