Santa Messa 24-6-22
SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ
Anno C – Solennità
L’Amore che salva quelli che non amano
La figura dei pastore è scolorita nel mondo moderno, mentre per gli antichi — e ancor oggi per certe popolazioni è piena di significato e di suggestività. L’errore nostro è di fissarsi più sugli elementi esterni della figura che su ciò che le è intimamente proprio. Ma è su questi elementi che la Bibbia fissa lo sguardo quando vede Dio come «pastore» del suo popolo, del suo «gregge». Alcuni quadri ci sembrano tratteggiati con tinte forzate, perché vi viene rappresentato più direttamente Dio, sotto veste di pastore, che non il pastore come figura di Dio. È il caso particolare dei brani scelti per la solennità dei Cuore di Cristo.
Dio avrà cura dei piccoli e dei deboli come un pastore premuroso
Che cosa è un popolo mal guidato, indifeso, denutrito? È facile e non facile vederlo, perché tanti mali vengono coperti con pudore da chi li soffre, altri vengono come sommersi da chi li provoca. In un simbolo è più facile vederlo. Ed ecco l’immagine del gregge, strapazzato da chi dovrebbe esserne guida e difesa.
Dio fa sapere per bocca di Ezechiele che prenderà cura egli stesso del suo popolo, come un pastore sollecito e avveduto; radunerà i dispersi, li conoscerà a uno a uno, curerà i feriti, guarirà i malati, allontanerà i cattivi pastori; assicurerà pascoli buoni e abbondanti, ovile comodo e sicuro, veglierà a difesa, andrà in cerca degli smarriti e li riporterà all’ovile, pascerà il suo gregge con giustizia (prima lettura).
L’immagine è trasparente: sotto i suoi tratti è raffigurato Dio pastore buono che prende somma cura del suo popolo, per liberarlo dalle malversazioni di chi l’opprime invece di reggerlo, per condurlo al benessere a cui ha diritto. Il quadro ha un valore simbolico perenne: non è solo raffigurato il passaggio dall’antica alla nuova alleanza, da Israele all’umanità, ma la scena viva è un monito, un messaggio del come deve agire chi, in qualunque grado e modo, è posto a guida degli altri. Dal «gregge» ben guidato e pasciuto si leva il canto di riconoscenza al suo pastore (salmo responsoriale).
L’amore di Dio si è mostrato quando gli uomini gli erano nemici
Dio ci ha amati proprio quando eravamo peccatori: Cristo è morto per gli empi. Questa è la grande «speranza» non deludente, afferma san Paolo. Ragioniamo, egli dice. Quando si è mai vista cosa simile? Ce ne vuole per trovare un atto di eroismo in favore di una persona buona, magari fino a morire per essa. Questo si può anche avverare; ma che uno muoia per un farabutto!? Eppure, Dio ci ha dato questa prova d’amore, perché Cristo è morto proprio quando gli uomini erano peccatori: è morto per liberarli dal peccato. E morto per chi lo uccideva.
E ora, dunque? Possiamo ancora aver timore di Dio? Se siamo stati riconciliati quando eravamo nemici, e riconciliati dal sacrificio volontario di Cristo, ora che siamo «riconciliati» la sua vita è la nostra salvezza. Cristo è «risorto» per comunicarci la sua vita. Anzi, tutto ciò è una gloria per noi.
La manifestazione di Cristo in un secolo di freddezza e di frivolezza, di ricchezze ostentate e di povertà abbietta, non ha perduto nulla della forza dei suo discreto richiamo: «Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini!». Ne siamo convinti? Che cosa importa questo nella vita? A ciascuno di noi la risposta: non una risposta solo individuale, ma collettiva, ecclesiale. C’è pericolo oggi di reputare sentimentale una devozione che abbia per oggetto l’amore del Cuore di Cristo per noi; bisognerebbe considerare, per disilludersi, quanto sia forte l’amore di Paolo e di Giovanni per Cristo.
Dio ricerca con amore gli smarriti, i peccatori
L’uomo tradito si vendica. Anche Dio lo fa, ma a modo suo. Egli mostra maggior sollecitudine di amore misericordioso, cioè di un amore che si effonde proprio là dove c’è più miseria, va in cerca di chi l’ha abbandonato, di chi l’ha oltraggiato e tradito. Solo Dio sa valutare il male che è il peccato, e solo lui, somma bontà che può tutto, vuole e può liberarli. Stando all’immagine del pastore, Gesù ha affermato di sé di andare sollecitamente in cerca della pecorella smarrita e di riportarla all’ovile con gioia.
Nel vangelo di Luca, dopo questa parabola segue quella della moneta perduta e ricercata dalla donna che ne ha soltanto dieci, e poi il dramma del figlio prodigo. La conclusione è sempre la stessa: Dio fa festa per un peccatore che si converte, più che per molti giusti che non hanno bisogno di convertirsi. È l’amore che gioisce nel salvare, gioisce di aver salvato. Tale è l’amore di Dio che si è incarnato in Cristo.
Dobbiamo chiedere a noi stessi quale premura abbiamo di riavvicinare chi ci ha offeso, di stringere una mano che ci ha fatto del male, di riabbracciare come amico chi ci ha tradito.
Presso di te è la sorgente della vita
Dalle «Opere» di san Bonaventura, vescovo
(Opusc. 3, Il legno della vita, 29-30. 47; Opera omnia 8, 79)
Considera anche tu, o uomo redento, chi, quanto grande e di qual natura sia colui che pende per te dalla croce. La sua morte dà la vita ai morti, al suo trapasso piangono cielo e terra, le dure pietre si spaccano.
Inoltre, perché dal fianco di Cristo morto in croce fosse formata la Chiesa e si adempisse la Scrittura che dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19, 37), per divina disposizione è stato permesso che un soldato trafiggesse e aprisse quel sacro costato. Ne uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, da’ ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed è, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva «che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 14).
Sorgi, dunque, o anima amica di Cristo. Sii come colomba «che pone il suo nido nelle pareti di una gola profonda» (Ger 48, 28). Come «il passero che ha trovato la sua dimora» (Sal 83, 4), non cessare di vegliare in questo santuario. Ivi, come tortora, nascondi i tuoi piccoli, nati da un casto amore. Ivi accosta la bocca per attingere le acque dalle sorgenti del Salvatore (cfr. Is 12, 3). Da qui infatti scaturisce la sorgente che scende dal centro del paradiso, la quale, divisa in quattro fiumi (cfr. Gn 2, 10) e, infine, diffusa nei cuori che ardono di amore, feconda ed irriga tutta la terra.
Corri a questa fonte di vita e di luce con vivo desiderio, chiunque tu sia, o anima consacrata a Dio, e con l’intima forza del cuore grida a lui: «O ineffabile bellezza del Dio eccelso, o splendore purissimo di luce eterna! Tu sei vita che vivifica ogni vita, luce che illumina ogni luce e che conserva nell’eterno splendore i multiformi luminari che brillano davanti al trono della tua divinità fin dalla prima aurora.
O eterno e inaccessibile, splendido e dolce fluire di fonte nascosta agli occhi di tutti i mortali! La tua profondità é senza fine, la tua altezza senza termine, la tua ampiezza è infinita, la tua purezza imperturbabile!
Da te scaturisce il fiume «che rallegra la città di Dio» (Sal 45, 5), perché «in mezzo ai canti di una moltitudine in festa» (Sal 41, 5) possiamo cantare cantici di lode, dimostrando, con la testimonianza, dell’esperienza, che «in te é la sorgente della vita e alla tua luce vediamo la luce» (Sal 35, 10).
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Ez 34, 11-16
Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare.
Dal libro del profeta Ezechièle
Così dice il Signore Dio:
«Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine.
Le farò uscire dai popoli e le radunerò da tutte le regioni. Le ricondurrò nella loro terra e le farò pascolare sui monti d’Israele, nelle valli e in tutti i luoghi abitati della regione.
Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d’Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Oracolo del Signore Dio.
Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia».
Salmo Responsoriale Salmo 22
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincàstro
mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.
Seconda Lettura Rm 5, 5-11
Dio dimostra il suo amore verso di noi.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.
A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione
Canto al Vangelo Gv 10,14
Alleluia, alleluia.
Io sono il buon pastore, dice il Signore,
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.
Oppure: Mt 11,29
Prendete il mio giogo sopra di voi.
Alleluia.
Vangelo Lc 15, 3-7
Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola:
«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».