Santa Messa 22-9-18
SANT’IGNAZIO DA SANTHIA’
Lorenzo Maurizio – così il suo nome di battesimo – nasce il 5 giugno 1686 a Santhià (Vercelli), quarto tra i sei figli dell’agiata famiglia di Pier Paolo Belvisotti e Maria Elisabetta Balocco. Rimasto orfano del padre a sette anni, la madre provvede alla sua formazione affidandolo al pio e dotto sacerdote don Bartolomeo Quallio, suo parente. Sentendosi chiamato alla vita ecclesiastica, dopo le scuole primarie nella città natale, nel 1706 Lorenzo Maurizio passa a Vercelli per gli studi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote nell’autunno del 1710, resta nel capoluogo come cappellano-istruttore della nobile famiglia Avogadro. In questi primi anni di sacerdozio non rinuncia ad associarsi all’apostolato dei Gesuiti, particolarmente nella predicazione delle missioni al popolo. Conoscerà così il suo futuro direttore spirituale, il padre gesuita Cacciamala.
La natia Santhià, desiderando avere il suo concittadino, lo elegge canonico rettore dell’insigne collegiata di Santhià. A loro volta gli Avogadro lo eleggono parroco della parrocchia di Casanova Elvo di cui godevano il giuspatronato. Tuttavia il quasi trentenne don Belvisotti non va in cerca di gloria: ha maturato ben altre mete. Rinunciato alle due nomine e ai benefici loro connessi, il 24 maggio 1716 entra nel convento-noviziato dei Cappuccini di Chieri (Torino) e assume il nome di fr. Ignazio da Santhià con l’intenzione di partire in futuro per le missioni estere. La sua fermezza nel tendere alla perfezione, l’osservanza piena, premurosa, spontanea e gioiosa della vita cappuccina, gli attirano l’ammirazione anche dei più anziani religiosi del noviziato. Dopo gli anni della formazione cappuccina (trascorsi a Saluzzo, a Chieri e a Torino, sul Monte dei Cappuccini), nel Capitolo Provinciale del 31 agosto 1731 viene nominato maestro di noviziato nel convento di Mondovì (Cuneo). In tredici anni di magistero e testimonianza, Ignazio offre alla Provincia monastica del Piemonte ben 121 nuovi frati, alcuni dei quali moriranno in fama di santità. In seguito ad un atto eroico (essendosi addossato la grave oftalmia e le sofferenze del suo ex-novizio Bernardino Ignazio dalla Vezza, impedito di continuare nell’attività missionaria in Congo), nel 1744 deve rinunciare all’incarico e ritirarsi per cure nel convento-infermeria di Torino-Monte.
L’obbedienza ai superiori (alla quale mai si sottrasse), lo inducono a seguire, come cappellano-capo, l’esercito del re di Sardegna Carlo Emanuele III, in guerra contro le armate franco-spagnole(1745-1746), per assistere i militari feriti o contagiati negli ospedali di Asti, Alessandria e Vinovo.
Finita la guerra, il convento del Monte dei Cappuccini di Torino lo accoglie nuovamente per l’ultimo lungo periodo della sua vita (1747-1770). Con una generosità senza misura e con umile e intensa carica spirituale, Ignazio divide la sua attività pastorale tra il convento e la città di Torino: predica settimanalmente agli altri confratelli, attende al ministero della riconciliazione e, nonostante la non più giovane età e le gravi malattie, scende l’erta collina su cui sorge il convento per percorrere le vie della città e incontrare di casa in casa poveri e ammalati, che attendono il conforto della sua parola e della sua ormai celebre benedizione. Intanto si vanno moltiplicando i prodigi e il popolo lo ribattezza “il Santo del Monte”; contemporaneamente su di lui si accentra anche la venerazione dei più distinti personaggi del Piemonte: dai regnanti all’arcivescovo di Torino, Giovanni Battista Roero, al primo vescovo di corte, il cardinale Vittorio Delle Lanze; dal gran cancelliere Carlo Luigi Caisotti di Santa Vittoria, al sindaco della città.
Ignazio da Santhià trascorre gli ultimi due anni nell’infermeria del suo convento, continuando a benedire, a confessare, a consigliare quanti a lui ricorressero. La sua vita appare ormai assorbita e trasformata in quel Crocifisso che egli non sa allontanare dal suo sguardo.
Il 22 settembre 1770, festa di s. Maurizio, patrono suo e della provincia cappuccina del Piemonte, fr. Ignazio muore serenamente nella sua cella, all’età di 84 anni.
La fama della sua santità e i numerosi prodigi attribuiti alla sua intercessione inducono ad avviarne immediatamente il processo di canonizzazione. Dopo la causa ordinaria, nel 1782 viene introdotto il processo apostolico che, a motivo delle vicissitudini della Rivoluzione Francese e delle ricorrenti soppressioni che colpiscono gli Ordini religiosi nell’Ottocento, subisce continui rallentamenti e interruzioni. E se fin dal 19 marzo 1827 Leone XII ne riconosce l’eroicità delle virtù di fr. Ignazio da Santhià, solo il 17 aprile 1966 (dopo oltre un secolo di quasi totale silenzio e dopo la valutazione positiva di due miracoli ottenuti per sua intercessione negli anni precedenti) Paolo VI può procedere alla sua solenne beatificazione.
Giovanni Paolo II ne ha proclamato la santità il 19 maggio 2002, domenica di Pentecoste. Le reliquie di Ignazio da Santhià sono venerate nella chiesa del Monte dei Cappuccini in Torino.
Autore: Padre Mario Durando
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura 1 Cor 15,35-37.42-49
È seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore. Quanto a ciò che semini, non semini il corpo che nascerà, ma un semplice chicco di grano o di altro genere. Così anche la risurrezione dei morti: è seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; è seminato nella miseria, risorge nella gloria; è seminato nella debolezza, risorge nella potenza; è seminato corpo animale, risorge corpo spirituale.
Se c’è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale. Sta scritto infatti che il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale. Il primo uomo, tratto dalla terra, è fatto di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Come è l’uomo terreno, così sono quelli di terra; e come è l’uomo celeste, così anche i celesti. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 55
Camminerò davanti a Dio nella luce dei viventi.
Si ritireranno i miei nemici,
nel giorno in cui ti avrò invocato;
questo io so: che Dio è per me.
In Dio, di cui lodo la parola,
nel Signore, di cui lodo la parola,
in Dio confido, non avrò timore:
che cosa potrà farmi un uomo?
Manterrò, o Dio, i voti che ti ho fatto:
ti renderò azioni di grazie,
perché hai liberato la mia vita dalla morte,
i miei piedi dalla caduta.
Canto al Vangelo Lc 8,15
Alleluia, alleluia.
Beati coloro che custodiscono la parola di Dio
con cuore integro e buono
e producono frutto con perseveranza.
Alleluia.
Vangelo Lc 8, 4-15
Il seme caduto sul terreno buono sono coloro che custodiscono la Parola e producono frutto con perseveranza.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.