Santa Messa 2-9-18
XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B
Conservare o cambiare
Fin dagli inizi della sua vita pubblica Gesù afferma la propria indipendenza nei confronti della tradizione giudaica del suo tempo.
Anzi questo diventa uno dei punti di frizione e di contrasto fra Gesù e il giudaismo farisaico. Se da una parte Gesù afferma che la Legge e i Profeti non devono essere aboliti, ma portati a compimento (Mt 5,17), dall’altra ingaggia una lotta serrata contro certe «tradizioni degli antichi», che sono risultato di preoccupazioni puramente umane e minacciano di annullare la Legge (vangelo).
La Legge sclerotizzata
In base a questa polemica di Gesù contro il fariseismo gretto si è finito col dare a questo nome, originariamente sinonimo di pietà e di perfezione, il significato di ipocrisia, di osservanza esteriore e priva di convinzioni. Eppure questo è fare un torto a delle persone che nelle loro intenzioni e alle origini erano sincere.
Cristo ha degli amici tra i farisei. Paolo stesso è uno di loro. Severi custodi dell’osservanza in un’epoca di fortissima influenza pagana, essi erano stati i salvatori dell’anima del popolo. Per preservare questa anima i farisei avevano attenuato notevolmente le aspettative e le speranze messianiche, ritenute politicamente pericolose; avevano accentuato, invece, le pratiche cultuali, dando loro la precedenza sui doveri della fraternità umana e della giustizia sociale.
L’attaccamento alla Legge, che ha reso grande il giudaismo (1a lettura) e che in più di un caso è stato motivo della salvezza di Israele, comportava però gravi pericoli; nel mettere sullo stesso piano tutti i precetti, religiosi e morali, civili e cultuali, abbandonandoli alle sottigliezze dei casisti, il culto della Legge finiva per imporre un giogo impossibile da portare (Mt 23,4; At 15,10). Da segno di alleanza e di libertà la Legge diventava una catena di schiavitù.
Un secondo pericolo, ancora più grave e radicale, era quello di fondare la «giustizia dell’uomo» di fronte a Dio, non sulla grazia e sulla iniziativa divina, ma sull’obbedienza ai comandamenti e sulla pratica delle opere buone, come se l’uomo fosse capace di salvarsi da solo.
Una tentazione risorgente
Il fariseismo e il formalismo non sono un atteggiamento che riguarda solo il passato, ma una tentazione continuamente risorgente anche presso le persone e le istituzioni che iniziano con le intenzioni più pure e più rette.
Un modo di pensare farisaico ha tentato di bloccare il dinamismo missionario della Chiesa primitiva. È stata necessaria la rude energia di Paolo e la convocazione del primo concilio di Gerusalemme perché la comunità primitiva si potesse scrollare di dosso le norme che volevano imporre i giudaizzanti.
Un modo di agire farisaico può continuare anche oggi, nel seno della Chiesa: si possono esagerare e assolutizzare la legalità, il precetto, l’esteriorità; si può anche oggi vivere un cristianesimo legalista, esteriore, periferico, più preoccupato di ubbidire passivamente a norme ricevute, che di dare una risposta personale e responsabile alle chiamate di Dio e alle invocazioni dei fratelli.
Si rischia di essere farisei anche quando non si distingue l’essenziale dell’evento cristiano nella storia, dalle diverse forme storiche e culturali in cui esso si manifesta, imbrigliando nelle nostre categorie l’inafferrabile azione dello Spirito, cercando di mantenere sotto il giogo della legge coloro che ne sono stati liberati dalla morte di Cristo. Cadono sotto questa accusa alcune resistenze al rinnovamento conciliare, alcuni ingiustificati allarmi di fronte agli sforzi di «aggiornamento» in campo liturgico, pastorale ed ecclesiale. Una malintesa fedeltà alla tradizione, che si manifesta in una opposizione ad ogni forma di rinnovamento, è indice di sterilità, di infecondità spirituale. Al contrario, la fedeltà allo Spirito è una fedeltà dinamica non passiva, conquistatrice non apologetica, missionaria non chiusa su se stessa.
Tensione liberatrice dei giovani
Al di là di ogni mitizzazione e facile idealizzazione, i giovani sono stati in tutti i tempi un elemento attivo di questa dinamica di trasformazione di strutture e tradizioni inadeguate. La loro critica costruttiva ha la funzione di liberare continuamente a un modo sclerotizzato di vivere i valori, per aderire in profondità ad essi senza mai assolutizzare ciò che passa. Essi possiedono anche fantasia e utopia a sufficienza per imprimere un’accelerazione forte al cambiamento, o alla revisione di usi, costumi e rapporti di dipendenza, di modi di conduzione della comunità. La forza dei giovani spinge una comunità verso il futuro.
Il Signore ha avuto misericordia di noi
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 23 A, 1-4; CCL 41, 321-323)
Siamo veramente beati se, quello che ascoltiamo, o cantiamo, lo mettiamo anche in pratica. Infatti il nostro ascoltare rappresenta la semina, mentre nell’opera abbiamo il frutto del seme. Premesso ciò, vorrei esortarvi a non andare in chiesa e poi restare senza frutto, ascoltare cioè tante belle verità, senza poi muovervi ad agire.
Tuttavia non dimentichiamo quanto ci dice l’Apostolo: «Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2, 8-9). Ribadisce: «Per grazia siete stati salvati» (Ef 2, 5).
In realtà non vi era in precedenza nella nostra vita nulla di buono, che Dio potesse apprezzare e amare, quasi avesse dovuto dire a se stesso: «Andiamo, soccorriamo questi uomini, perché la loro vita è buona». Non poteva piacergli la nostra vita col nostro modo di agire, però non poteva dispiacergli ciò che egli stesso aveva operato in noi. Pertanto condannerà il nostro operato, ma salverà ciò che egli stesso ha creato.
Dunque non eravamo davvero buoni. Ciò nonostante, Dio ebbe compassione di noi e mandò il suo Figlio, perché morisse, non già per i buoni, ma per i cattivi, non per i giusti, ma per gli empi. Proprio così: «Cristo morì per gli empi» (Rm 5, 6). E che cosa aggiunge? «Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto», al massimo «ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene» (Rm 5, 7). Può darsi che qualcuno abbia la forza di morire per il giusto. Ma per l’ingiusto, l’empio, l’iniquo, chi accetterebbe di morire, se non Cristo soltanto, che è talmente giusto da poter giustificare anche gli ingiusti?
Come vedete, fratelli, non avevamo opere buone, ma tutte erano cattive. Tuttavia, pur essendo tali le opere degli uomini, la misericordia divina non li abbandonò. Anzi Dio mandò il suo Figlio a redimerci non con oro né con argento, ma a prezzo del suo sangue, che egli, quale Agnello immacolato condotto al sacrificio ha sparso per le pecore macchiate, se pure solo macchiate e non del tutto corrotte.
Questa è la grazia che abbiamo ricevuto. Viviamo perciò in modo degno di essa, per non fare oltraggio a un dono sì grande. Ci è venuto incontro un medico tanto buono e valente da liberarci da tutti i nostri mali. Se vogliamo di nuovo ricadere nella malattia, non solo recheremo danno a noi stessi, ma ci dimostreremo anche ingrati verso il nostro medico.
Seguiamo perciò le ve che egli ci ha mostrato, specialmente la via dell’umiltà, quella per la quale si è incamminato lui stesso: Infatti ci ha tracciato la via dell’umiltà con il suo insegnamento e l’ha percorsa fino in fondo soffrendo per noi.
Perché dunque colui che era immortale potesse morire per noi, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). L’immortale assunse la mortalità, per poter morire per noi e distruggere in tal modo con la sua morte la nostra morte.
Questo ha compiuto il Signore, in questo ci ha preceduto. Lui che è grande si è umiliato, umiliato fu ucciso, ucciso risuscitò e fu esaltato per non lasciare noi nell’inferno, ma per esaltare in sé, nella risurrezione dai morti, coloro che in questa terra aveva esaltati soltanto nella fede e nella confessione dei giusti. Dunque ci ha chiesto di seguire la via dell’umiltà: se lo faremo daremo gloria al Signore e a ragione potremo cantare: «Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie, invocando il tuo nome» (Sal 74, 2).
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Dt 4, 1-2. 6-8
Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando… osserverete i comandi del Signore.
Dal libro del Deuteronòmio
Mose parlò al popolo dicendo: «Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi. Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo. Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”. Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 14
Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.
Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.
Seconda Lettura Gc 1, 17-18. 21b-22.27
Siate di quelli che mettono in pratica la Parola.
Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.
Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
Canto al Vangelo Gc 1,18
Alleluia, alleluia.
Per sua volontà il Padre ci ha generati per mezzo della parola di verità,
per essere una primizia delle sue creature.
Alleluia.
Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».