Messa quotidiana

Santa Messa 19-8-20

SAN LUDOVICO D’ANGIO’ (di Tolosa)

Vescovo

Brignoles (Provenza), febbraio 1274 – 19 agosto 1297

Un condensato di grandezza in una vita durata appena 23 anni; il titolo di d’Angiò proviene dalla dinastia angioina, fondata alla fine del secolo IX da Folco il Rosso, signore della antica contea di Angiò; nel 1234 Angiò fu annessa alla Francia dal re s. Luigi IX (1214-1270) e da lui assegnata al fratello Carlo nel 1246.
Carlo I (1226-1285) allargò la grande dinastia oltre i confini francesi, raggiungendo vasti domini in Italia, specie da quando il francese papa Clemente IV, l’aveva chiamato a contrapporsi alla Casata degli Svevi e così dopo averne sconfitto l’ultimo discendente Corradino di Svevia (1252-1268), divenne il signore assoluto di tutto il Meridione d’Italia.
Suo figlio primogenito Carlo II (1248-1309), si unì in matrimonio con Maria, figlia ed erede del re Stefano IV d’Ungheria; da questa unione nasceva secondogenito Ludovico nel febbraio 1274, a Brignoles in Provenza, ma secondo altri studiosi egli sarebbe nato nel castello di Nocera (SA); cosa possibile perché il padre Carlo II detto “lo Zoppo”, era in quel tempo, sia principe di Salerno, sia governatore della Provenza.
Ludovico insieme ai numerosi fratelli e sorelle, cresce educato cristianamente dalla madre, mentre il padre si preoccupa di scegliere per loro validi educatori nelle arti liberali e nelle scienze teologiche e filosofiche; la fanciullezza trascorre in grande serenità tra preghiera, studio, svaghi con i fratelli, passeggiate nei verdi parchi dei Castelli della sua famiglia, in Provenza e in Italia.
Con la sensibilità del suo giovane cuore, si adopera per aiutare i bisognosi, ricorrendo a tutti gli espedienti, anche non confacenti ad un principe, come quello di sottrarre dalle cucine del cibo per i poveri affamati.
Il 5 luglio 1284, durante una battaglia navale nelle acque di Napoli, il padre Carlo II d’Angiò, principe di Salerno ed erede al trono di Sicilia, viene fatto prigioniero da Alfonso III d’Aragona (1265-91) nell’ambito della Guerra dei Vespri Siciliani, in corso fra Angioini ed Aragonesi per il governo della Sicilia.
Verrà poi liberato quattro anni dopo, per succedere sul trono al padre Carlo I morto nel 1285; con il trattato di Camporeale del 1288 Alfonso III d’Aragona gli concede la libertà, ma solo se lascia come ostaggi agli Aragonesi, tre suoi figli, Ludovico, Roberto e Raimondo, insieme a cinquanta gentiluomini del regno; costretto ad accettare, Carlo II però chiese per loro, una educazione confacente al rango di principi.
E il 18 novembre 1288 i tre giovani principi strappati dalla loro casa e dagli affetti familiari, si imbarcarono per la Spagna, facendo una prima tappa nel grande castello di Moncada in Catalogna, dove restarono per un anno, poi dal 1289 al 1293 furono nel castello di Ciurana, nel 1293 per alcuni mesi a Castile e fino alla metà del 1294 a Barcellona.
In quell’anno vennero ricondotti al castello di Ciurana dove rimasero fino al 31 ottobre 1295, quando vennero restituiti, dopo sette anni, alla famiglia. Durante tutto questo itinerante e tormentato periodo catalano, i tre giovani ostaggi, per volere del loro genitore, vivevano insieme a due francescani, Francesco Brun (futuro vescovo di Gaeta) e Pietro Scarrier (futuro vescovo di Rampolla, confessore della regina Sancia) i quali erano valenti educatori; inoltre furono sempre in contatto epistolare con il dotto francescano Pietro di Giovanni Olivi, ricevendone conforto con il suo profondo pensiero.
Tali contatti francescani, avranno un’influenza decisiva sulla vita di Ludovico, nel quale proprio nel periodo catalano, sbocciò la vocazione al sacerdozio, del resto la sua vita fu più intensamente vissuta nella preghiera dei suoi fratelli, con episodi premonitori come la lotta con un grande gatto nero che l’aveva assalito mentre era in preghiera e che Ludovico mise in fuga con un segno di croce.
Nel gennaio 1290 si ammala in modo così grave da sembrare ormai prossima la morte, curato dai due fratelli esiliati e dai gentiluomini costernati del seguito, con i ritrovati più nuovi dei medici si cerca di vincere la terribile malattia, la tisi polmonare; Ludovico si affida allora alla fede in Dio e alla Sua volontà e prodigiosamente guarisce istantaneamente, lasciando sbalorditi gli stessi medici; ed egli confida ai due francescani, la promessa fatta sull’orlo della sua fine, di indossare il saio dell’Ordine di s. Francesco.
Pur se lontano, il padre Carlo II lo segue con trepidazione e alla fine acconsente alla sua scelta di vita religiosa, con qualche perplessità per il tipo di Ordine che è mendicante, poco consono ad un principe.
Nel 1294 a 20 anni papa Celestino V gli permette di ricevere la tonsura ed i primi quattro Ordini minori; già nel 1290 nella piccola cappella della fortezza di Ciurana, aveva indossato l’abito ecclesiastico. Nel 1295 muore il primogenito Carlo Martello suo fratello, re d’Ungheria dal 1292 ed erede del trono di Napoli; in linea di successione Ludovico diventa erede del Regno.
Intanto egli aveva tentato di entrare fra i francescani di Montpellier, durante il suo viaggio di ritorno dalla lunga prigionia in Catalogna, ma non viene accettato perché è un principe reale designato al trono; prosegue il viaggio, dopo aver incontrato i suoi genitori giubilanti e arriva a Roma dove nel Natale del 1295 papa Bonifacio VIII gli conferisce il suddiaconato.
Ripartito da Roma, giunge con i fratelli finalmente a Napoli, sede della Casa Angioina, fra il tripudio del popolo e qui fra il gennaio e febbraio del 1296 egli compie il gesto ufficiale di rinuncia sui diritti del Regno di Napoli e sulle contee di Angiò e di Provenza a favore del fratello Roberto d’Angiò (1275-1343) che governò lasciando una grande impronta della sua grande personalità nel regno, cultore delle lettere è soprannominato “il Saggio”.
Ludovico libero dagli impegni ereditari, si ritira per un breve periodo con alcuni religiosi, nel Castel dell’Ovo sul litorale napoletano, dove trascorre in preghiera e meditazione, la preparazione al sacerdozio. Verrà ordinato sacerdote il 19 maggio 1296 dall’arcivescovo di Napoli, nella basilica francescana di San Lorenzo Maggiore, il giorno seguente celebra la prima Messa nella Cappella del Palazzo Reale.
Ludovico resta a Napoli proseguendo la sua opera di carità verso i bisognosi, fra il rispetto di tutti per il suo stato sacerdotale; interviene presso il padre Carlo II per risparmiare la vita di un centinaio di uomini sovversivi, di una ‘galera’ catturata e il padre accondiscese. Poi da Roma giunge la notizia inaspettata che il papa Bonifacio VIII lo vuole nominare vescovo di Tolosa in Francia, egli corre a Roma per cercare di rifiutare la carica, a causa della sua giovane età, ha appena 22 anni, ma a quei tempi erano altri i criteri nell’assegnazione di cariche così importanti.
Dopo l’insistenza del papa egli accetta solo con la condizione di potersi fare prima francescano e così il 24 dicembre 1296 pronunziò i voti nel convento dell’Ara Coeli di Roma, dove aveva trascorso un periodo di preparazione all’evento, facendo vita in comune con i frati, portando però il saio sotto la veste ecclesiastica, per consiglio del papa, per non turbare la suscettibilità del re suo padre.
Il 30 dicembre sempre del 1296 nella basilica di S. Pietro viene consacrato vescovo dal papa, con una solenne celebrazione, così contrastante con lo spirito francescano di cui si sente pervaso. Poi affronta di nuovo il viaggio fino a Napoli, con varie tappe per non compromettere le sue delicate condizioni fisiche.
A Napoli la regina sua madre, con la corte e una folla festante, gli va incontro per ricevere la sua benedizione episcopale e gli dona l’anello pastorale fatto cesellare apposta per lui. Ludovico ritorna per un po’ nella pace del Castel dell’Ovo per ritemprarsi nello spirito e nel corpo dopo tante emozioni.
Agli inizi del 1297 intraprende il lungo viaggio per la sua nuova diocesi in Francia, facendo varie tappe di cui una al convento dell’Ara Coeli, dove si dice depose solennemente gli abiti ecclesiastici e indossando il saio francescano, suscitando lo scontento del padre.
Si fermò sempre in conventi francescani a Firenze, Siena, Genova, Marsiglia, Montpellier, accolto festosamente dai frati consci del suo rango, che invece lui non voleva ad ogni costo far risaltare. Nel maggio 1297 finalmente arriva a Tolosa tutta in festa per il suo nuovo vescovo e un questa città Ludovico, sebbene così giovane attua il suo ministero episcopale senza risparmiarsi, sempre presente dove c’è da aiutare, senza escludere quanti sono ammalati di mali oscuri probabilmente contagiosi.
Il suo amore della povertà, il suo disprezzo per ogni fasto e vanità mondane, il rifiuto di ogni comodità, il desiderio di seguire le orme di Cristo povero, ne fanno decisamente un francescano della posizione degli “spirituali” in opposizione ai “frates communes”, che costituivano allora i movimenti contrapposti in seno all’Ordine Francescano.
Un mese dopo l’arrivo a Tolosa si reca in Spagna in Catalogna, per riappacificare Giacomo II re d’Aragona, suo cognato perché sposo di sua sorella Bianca, e il conte di Foix. Durante il suo ritorno dalla Catalogna, egli pensa di recarsi a Roma per assistere alla canonizzazione del suo prozio s. Luigi IX re dei Francesi e in piena estate si mette in viaggio, a fine luglio 1297 arriva a Tarascona nella Francia sud-orientale, dove tiene una predicazione in onore di s. Marta e qui apprende che il re suo padre si trova a Brignoles in Provenza e che desidera vederlo ed egli benché molto affaticato per il caldo afoso e per le strade accidentate, vi si reca.
Sempre a dorso di mulo, il cavallo è da lui rifiutato per un incidente capitatogli qualche anno prima, e con alcuni frati, arriva a Brignoles il 3 agosto e s’incontra con il padre, il quale vedendo il suo viso sofferente, lo invita a fermarsi qualche giorno per riprendersi.
Il giorno dopo celebra la Messa in onore della festa di s. Domenico alla presenza del re e della corte, ma già durante il rito si notano i segni del suo pessimo stato di salute; il 5 agosto celebra ancora la S. Messa in suffragio del fratello defunto Carlo Martello; alla sera dopo un malessere, gli sale la febbre alta e da quel momento egli si dibatte tra la vita e la morte, fra lo sgomento del re, dei suoi superiori francescani e di tutta la corte; chiede il 15 agosto il S. Viatico, trascorrono ancora quattro giorni di lotta inutile dei medici contro la tisi polmonare, con Ludovico che affina la sua sofferenza offrendola a Dio, edificando con la preghiera e la sopportazione tutti i presenti.
Il 19 agosto 1297 muore serenamente a soli 23 anni, nella sua città natia, fra la costernazione generale, per suo desiderio viene tumulato nel convento dei Frati Minori di Marsiglia, la cui tomba diventa subito una meta di pellegrinaggi di tantissimi fedeli.
Le sue spoglie rimarranno a Marsiglia fino al 1423, quando per volere di Alfonso V d’Aragona vennero traslate nella cattedrale di Valencia in Spagna, dove riposano tuttora. Tre anni dopo la morte, nel 1300, si avviarono i procedimenti per la sua canonizzazione, che avvenne il 7 aprile 1317, proclamata da parte di papa Giovanni XXII, nella città pontificia di Avignone in Francia.
La sua festa è posta al 19 agosto.


Autore:
Antonio Borrelli

 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura
   Ez 34, 1-11
Strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto.

Dal libro del profeta Ezechièle
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, profetizza e riferisci ai pastori: Così dice il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana, ammazzate le pecore più grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Per colpa del pastore si sono disperse e sono preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando le mie pecore su tutti i monti e su ogni colle elevato, le mie pecore si disperdono su tutto il territorio del paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura.
Perciò, pastori, ascoltate la parola del Signore: Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, poiché il mio gregge è diventato una preda e le mie pecore il pasto d’ogni bestia selvatica per colpa del pastore e poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge – hanno pasciuto se stessi senza aver cura del mio gregge –, udite quindi, pastori, la parola del Signore: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna».

Salmo Responsoriale   Dal Salmo 22 
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.  

Canto al Vangelo   Eb 4,12
Alleluia, alleluia.

La parola di Dio è viva, efficace;
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.

Alleluia.

Vangelo   Mt 20, 1-16
Sei invidioso perché io sono buono?

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.
Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».