Santa Messa 19-8-18
XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno B
Banchetto di vita
In tutte le civiltà «tradizionali» il pasto è una realtà di portata religiosa. La maggior parte delle religioni conoscono banchetti sacri. Condividere la stessa mensa, mangiare in comune crea tra i convitati vincoli sacri cui sono associati gli dèi.
Ma presso il popolo di Israele il banchetto sacro ha un significato particolare: è la celebrazione-ricordo di un evento storico. Rinnova l’alleanza divenendo memoriale delle meraviglie compiute da Dio per il suo popolo. Ogni anno il banchetto pasquale richiama l’Esodo, l’evento liberatore per eccellenza che attualizza la speranza della salvezza nella «memoria» delle meraviglie di un tempo.
Il pane disceso dal cielo
I profeti aiuteranno il popolo a rendersi conto che «celebrare la Pasqua» non si identifica automaticamente con la partecipazione materiale al banchetto, sia pure compiuto con il rito prescritto, ma che è necessaria la conversione del cuore, cioè la rinnovazione della propria fedeltà all’alleanza di Dio.
Gesù, venuto ad instaurare una nuova ed eterna alleanza, va preparando il suo nuovo banchetto annunciando un nuovo pane: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo» (vangelo). Di fronte allo stupore e all’incredulità dei suoi ascoltatori afferma la necessità assoluta di mangiare il suo corpo e bere il suo sangue per avere la vita: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate…». In questo modo l’Eucaristia preannunciata da Gesù nel discorso sul pane di vita, realizzata nell’ultima cena e attualizzata nella Messa per volere di Gesù, diventa per ogni comunità cristiana la sorgente di un nuovo modo di vivere nella carità, nella collaborazione e nel servizio; un pegno di speranza (pane di vita eterna) di immortalità. «I nostri corpi nutriti dall’Eucaristia non sono corruttibili, perché portano in se stessi la speranza della risurrezione eterna» (sant’Ireneo).
In questa prospettiva la morte non è eliminata, ma superata: «Io lo risusciterò nell’ultimo giorno»; questo brano di vangelo è una delle letture tipiche nella messa dei defunti. L’assimilazione a Cristo per mezzo della fede e dei sacramenti esige la nostra partecipazione al mistero della sua morte che genera la pienezza della vita.
La Messa è un banchetto
Nel banchetto si esprime meglio l’accoglienza, la comunicazione, l’ospitalità. Non per caso, proprio durante il banchetto Gesù ha comunicato ai peccatori il perdono, ha rivelato ai poveri il pane che viene dal ciclo, si è confidato con umanissima intimità ai suoi discepoli e ha donato la sua stessa vita.
Punto di partenza, quindi, per una realistica e concreta interpretazione e celebrazione dell’Eucaristia è la riflessione sul pasto umano. Gli uomini, a differenza degli animali, vogliono stare insieme a condividere il cibo. Non si tratta semplicemente dell’azione materiale di mangiare, ma di un incontro di persone, quasi di un rito.
Anche il raduno eucaristico è posto sotto il segno della legge della carità o del servizio reciproco, dell’incontro comunitario. L’episodio della lavanda dei piedi, che nel vangelo di Giovanni sostituisce il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, indica chiaramente che un nesso stretto lega il pasto eucaristico con il sacrifìcio spirituale di obbedienza di Cristo fino alla morte di croce per amore di Dio e degli uomini. Il primo frutto dell’Eucaristia consiste nello stabilirsi di una comunità radunata nei vincoli di una autentica ed universale fraternità.
La Messa è un incontro di fratelli
La dimensione comunitaria del raduno è essenziale alla teologia eucaristica: non basta essere ben disposti alla recezione del sacramento, bisogna essere in comunione di carità, di fraternità e di servizio con i fratelli.
Sedersi insieme a tavola è un momento di amicizia e di intesa. La cordialità dell’incontro conviviale è espressione comune dell’armonia delle cose e degli uomini, quale era nel progetto di Dio creatore. Nulla meglio del convito eucaristico — mensa della Parola e del Pane di vita — può rivelarci questo amore condiscendente del nostro Dio, che fa di noi i suoi figli in Gesù, e ci chiama tutti a vivere da fratelli, a immagine e preludio del regno dei Cicli (cf CdA, pag. 237).
Naturalmente questi vincoli di fraternità stabiliti dall’Eucaristia devono tessere la trama concreta dell’esistenza quotidiana, altrimenti sarebbe falsa, o almeno inautentica la partecipazione alla Eucaristia. Ciò che è «già compiuto» nel rito esige ed aspetta di essere compiuto nella vita. La continuità fra rito e vita è essenziale all’esercizio concreto della legge di carità universale, a tutti i livelli dell’esistenza umana in cui questa legge deve ripercuotersi.
Sale della terra e luce del mondo
Dalle «Omelie sul vangelo di Matteo» di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 15, 6. 7; PG 57, 231-232)
«Voi siete il sale della terra» (Mt 5, 13). Vi viene affidato il ministero della parola, dice il Cristo, non per voi, ma per il mondo intero. Non vi mando a due, o dieci, o venti città o a un popolo in particolare, come al tempo dei profeti, ma vi invio alla terra, al mare, al mondo intero, a questo mondo così corrotto. Dicendo infatti: «Voi siete il sale della terra», fa capire che l’uomo è snaturato e corrotto dai peccati. Per questo esige dai suoi quelle virtù che sono maggiormente necessarie e utili per salvare gli altri. Un uomo mite, umile, misericordioso e giusto non tiene nascoste in sé simili virtù, ma fa sì che queste ottime sorgenti scaturiscano a vantaggio degli altri. E chi ha un cuore puro, amante della pace e soffre per la verità, dedica la sua vita per il bene di tutti.
Non crediate, sembra dire, di essere chiamati a piccole lotte e a compiere imprese da poco. No. Voi siete «il sale della terra». A che cosa li portò questa prerogativa? Forse a risanare ciò che era diventato marcio? No, certo. Il sale non salva ciò che è putrefatto. Gli apostoli non hanno fatto questo. Ma prima Dio rinnovava i cuori e li liberava dalla corruzione, poi li affidava agli apostoli, allora essi diventavano veramente «il sale della terra» mantenendo e conservando gli uomini nella nuova vita ricevuta dal Signore. E’ opera di Cristo liberare gli uomini dalla corruzione del peccato, ma impedire di ricadere nel precedente stato di miseria spetta alla sollecitudine e agli sforzi degli apostoli.
Vedete poi come egli mostra che essi sono migliori dei profeti. Non dice che sono maestri della sola Palestina, ma di tutto il mondo. Non stupitevi, quindi, sembra continuare Gesù, se la mia attenzione si fissa di preferenza su di voi e se vi chiamo ad affrontare difficoltà così gravi. Considerate quali e quante sono le città, i popoli e le genti a cui sto per inviarvi. Perciò voglio che non vi limitiate a essere santi per voi stessi, ma che facciate gli altri simili a voi. Senza di ciò non basterete neppure a voi stessi.
Agli altri, che sono nell’errore, sarà possibile la conversione per mezzo vostro; ma se cadrete voi, trascinerete anche gli altri nella rovina. Quanto più importanti sono gli incarichi che vi sono stati affidati, tanto maggior impegno vi occorre. Per questo Gesù afferma: «Ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13). Perché poi, udendo la frase: «Quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e diranno ogni sorta di male contro di voi» (Mt 5, 11), non temano di farsi avanti, sembra voler dire: Se non sarete pronti alle prove, invano io vi ho scelti. Così verranno le maledizioni a testimonianza della vostra debolezza. Se, infatti, per timore dei maltrattamenti, non mostrerete tutto quell’ardimento che vi si addice, subirete cose ben peggiori, avrete cattiva fama e sarete a tutti oggetto di scherno. Questo vuol dire essere calpestati.
Subito dopo passa ad un’altra analogia più elevata: «Voi siete la luce del mondo» (Mt 5, 14). Nuovamente dice del mondo, non di un solo popolo o di venti città, ma dell’universo intero: luce intelligibile, più splendente dei raggi del sole. Parla prima del sale e poi della luce, per mostrare il vantaggio di una parola ricca di mordente e di una dottrina elevata e luminosa. «Non può restar nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio» (Mt 5, 14-15). Con queste parole li stimola ancora una volta a vigilare sulla propria condotta, ricordando loro che sono esposti agli occhi di tutti gli uomini e che si muovono dinanzi allo sguardo di tutta la terra.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Pr 9, 1-6
Mangiate il mio pane, bevete il vino che vi ho preparato.
Dal libro dei Proverbi
La sapienza si è costruita la sua casa,
ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 33/34
Gustate e vedete com’è buono il Signore.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.
Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?
Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.
Seconda Lettura Ef 5, 15-20
Sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Canto al Vangelo Gv 6,56
Alleluia, alleluia.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dice il Signore, rimane in me e io in lui.
Alleluia.
Vangelo Gv 6, 51-58
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».