Santa Messa 19-5-21
https://www.youtube.com/watch?v=q0Q2AjxmFgc
SAN CRISPINO DA VITERBO
Crispino nacque a Viterbo, nella contrada detta del Bottarone, il 13 novembre 1668; fu battezzato il 15 dello stesso mese nella chiesa di S. Giovanni Battista con il nome di Pietro. Il padre Ubaldo Fioretti era un artigiano e aveva sposato Marzia (la mamma) già vedova e con una figlia. Pietro rimane orfano di padre in ancor età, e la mamma vedova per la seconda volta si sposa con il fratello di Ubaldo Francesco, un calzolaio a lui molto affezionato e che al nipotino fece frequentare le scuole dei gesuiti e che quindi accolse come apprendista nella sua bottega di calzolaio.
Pietro indossò l’abito cappuccino nel convento della Palanzana di Viterbo il 22 luglio 1693, festa di S. Maria Maddalena, assumendo il nome Crispino da Viterbo, dopo l’anno di noviziato, il 22 luglio 1694, fu trasferito a Tolfa, dove rimase tre anni, per qualche mese rimase a Roma e fino al 1703 dimorò ad Albano, da qui fu trasferito a Monterotondo dove rimase per oltre sei anni, fino 1709; da quest’anno e per quaranta anni rimase ad Orvieto, dove fu ortolano fino al gennaio de1 1710, e poi questuante.
Fra Crispino era veramente esigente con i religiosi, ma non era pessimista nei confronti dell’Ordine Cappuccino: reputava una grande grazia poter in esso servire Dio. Incontrando un fanciullo orvietano, Girolamo, figlio di Maddalena Rosati, gli prediceva che sarebbe stato cappuccino, cantarellandogli: “Senza pane e senza vino, fraticello di fra Crispino”. Il ragazzo si fece frate col nome di Giacinto da Orvieto e mori ancor chierico a Palestrina, appena ventunenne, nel 1749.
Vi sono poi degli aforismi adatti all’indole di fra Crispino. Con essi egli scherza allegramente su fatti e situazioni spesso penosi, con un inesauribile senso di humour: Il droghiere orvietano Francesco Barbareschi, tormentato dalla podagra, era da fra Crispino invitato lepidamente “a prender l’asta d’Achille, cioè la vanga, e faticare nella villa Crispigniana, chiamando così il suo orticello, ove seminava l’insalata e piantava gli erbaggi per i benefattori”. Bruciante come una frustata in faccia, la risposta data ad un altro che gli chiedeva di esser guarito dallo stesso male: “Il vostro male è più di chiragra che di podagra, perché… non pagate chi deve avere: li vostri operai e servitori piangono…”. Alla principessa Barberini, che voleva veder guarito subito il figlio Carlo rispose: “Eh, non ti basta che guarisca nell’Anno Santo? …Eh, che vuoi pigliare il Signore per la barba? Bisogna ricevere da Dio le grazie quando lui le vuol fare”. A Cosimo Puerini, dispiacente di dare in elemosina una fiasca di vino buono, Crispino dice: “Eh, che vuoi fare il sacrificio di Caino?”. Dopo che un cappuccino era scampato per miracolo alla morte nel tentativo di attraversare un fiume in piena, fra Crispino cantarellò: “Torbida si vede, torbida si lassa; son un gran matto, se si passa”.
A fra Crispino capitava spesso di dover parlare di se agli altri, per aiutarli a farsi sul suo conto un’idea più rispondente alla realtà. Diceva spesso: “Sono peggiore dei merangoli, da’ quali pure se ne ricava un poco di sugo, ma da me cosa vogliono ricavare?”. Per sottrarsi a lodi ed ammirazione, fra Crispino ricorreva spesso ad immagini e similitudini. A chi gli diceva di non rovinare la minestra con l’assenzio rispondeva: “Ogni amaro tenetelo caro”, oppure “Questo assenzio se non è secondo il gusto, è secondo lo spirito”. A chi lo commiserava vedendolo camminare sotto la pioggia, diceva: “Amico, io cammino tra una goccia e l’altra”, oppure tirava in ballo la sua “sibilla ” che gli teneva “l’ombrella sopra il capo” o gli portava le pesanti bisacce.
Essendo andato a visitare il cardinale Filippo Antonio Gualtieri, questi gli chiese perché mai, per l’occasione, non avesse indossato un abito e un mantello un poco migliori. E Crispino rispose, allargando il mantello, che questo riluceva da tutte le parti, volendo significare che era logoro e sbucato. A chi si esaltava per i suoi miracoli, diceva: “Eh via, di che vi meravigliate? Non è già cosa nuova che Dio faccia miracoli”; “E non sai, amico, che san Francesco li sa fare i miracoli?”. A Montefiascone, al popolo che gli tagliuzzava il mantello per farne reliquie, gridava: “Ma che fate, o povera gente! Quanto sarebbe meglio che tagliaste la coda ad un cane! Che siete matti? Tanto fracasso per un asino che passa! Andate in chiesa a pregare Iddio!”. L’umile bestia da soma tornava spesso nei discorsi di fra Crispino. Un giorno disse al p. Giovanni Antonio: “Padre guardiano, fra Crispino è un asino, ma la capezza che lo guida sta nelle vostre mani; però, quando volete che vada o si fermi, tirategli o allentategli la capezza”. Quando si faceva aiutare a porsi sulle spalle le bisacce, tutto allegro e gioviale egli diceva: “Carica l’asino e va alla fiera”; e a chi gli chiedeva perché mai non si coprisse il capo contro la pioggia o il sole, rispondeva: “Non sai che l’asino non porta il cappello? E che io sono l’asino dei cappuccini?”. Ma alcune volte soggiungeva con serietà: “Sai perché non porto la testa coperta? Perché rifletto che sempre sto alla presenza di Dio”.
Il peregrinare di fra Crispino per le campagne orvietane durò quasi quarant’anni, con due brevi interruzioni che lo portarono per alcuni mesi a Bassano e per altri a Roma. Lasciò definitivamente Orvieto il 13 maggio 1750, diretto verso l’infermeria di Roma dove morì il 19 maggio 1750.
Fra Crispino fu beatificato il 7 settembre 1806 da papa Pio VII, canonizzato il 20 giugno 1982 da papa Giovanni Paolo II (è stato il primo santo canonizzato da questo papa).
Autore: Carmelo Randello
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura At 20,28-38
Vi affido a Dio, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità.
Dagli Atti degli Apostoli.
In quei giorni, Paolo diceva agli anziani della Chiesa di Èfeso: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio.
Io so che dopo la mia partenza verranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le lacrime, di ammonire ciascuno di voi.
E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati.
Non ho desiderato né argento né oro né il vestito di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”».
Dopo aver detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. Tutti scoppiarono in pianto e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 67
Regni della terra, cantate a Dio.
Oppure:
Sia benedetto Dio che dà forza e vigore al suo popolo.
Mostra, o Dio, la tua forza,
conferma, o Dio, quanto hai fatto per noi!
Per il tuo tempio, in Gerusalemme,
i re ti porteranno doni.
Regni della terra, cantate a Dio,
cantate inni al Signore,
a colui che cavalca nei cieli, nei cieli eterni.
Ecco, fa sentire la sua voce, una voce potente!
Riconoscete a Dio la sua potenza.
La sua maestà sopra Israele,
la sua potenza sopra le nubi.
Terribile tu sei, o Dio, nel tuo santuario.
È lui, il Dio d’Israele, che dà forza e vigore al suo popolo.
Sia benedetto Dio!
Canto al Vangelo Gv 17,17
Alleluia, alleluia.
La tua parola, Signore, è verità:
consacraci nella verità.
Alleluia.
VangeloGv 17,11b-19
Siano una cosa sola, come noi.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».