Santa Messa 19-1-23
SANT’EUSTOCHIA CALAFATO
Sulla vita della Calafato, clarissa, abbiamo due antichi mss.: il primo è nella Biblioteca comunale di Perugia e una sua copia, debitamente collazionata, il 28 febbraio 1781 fu inviata dall’arcivescovo di Messina alla S. Congregazione dei Riti per il processo di beatificazione della serva di Dio (copia pubblicata dal Macrì nel 1903). L’origine di questo ms. si fa risalire a un tempo di poco successivo alla morte della beata, quando suor Jacopa Pollicino, figlia del barone di Tortorici, su richiesta di suor Cecilia, badessa del monastero di S. Lucia di Foligno (con cui le Clarisse messinesi erano in corrispondenza), scrisse la Vita della Calafato, facendosi aiutare da altre suore che erano vissute con la beata. Suor Cecilia, trasferendosi in seguito a Perugia, portò seco il ms., lo ritoccò e gli diede un miglior ordine, togliendo espressioni prettamente siciliane e arricchendolo di colorito toscano.
Il secondo ms. fu ritrovato da Michele Catalano nella Biblioteca Civica Ariostea di Ferrara e da lui pubblicato nel 1942. Composto nel 1493, due anni dopo la morte della Calafato, riproduce con la più grande fedeltà l’originale, seguendolo anche nelle espressioni siciliane: questo testo “oltre alla notevolissima importanza mistica e al valore agiografico e storico, ha valore non piccolo nella storia della nostra lingua” (Catalano).
Figlia di Bernardo, ricco mercante messinese, e di Macalda Romano Colonna, la Calafato nacque il giovedì santo 1434 nel villaggio detto Annunziata, presso Messina. Chiamata al battesimo Smeralda, crebbe in un’atmosfera di pietà: infatti, la madre, indotta dal b. Matteo di Agrigento, si era affiliata al Terz’Ordine di S. Francesco e viveva una per fetta vita cristiana. La figlia cominciò presto a seguire le sue orme. Una visione del crocifisso, avuta in una chiesa, la decise a darsi completamente al Signore e, respingendo i numerosi pretendenti, domandò di entrare fra le Clarisse di S. Maria di Basicò. Le suore, però, intimorite dai fratelli della Calafato, che avevano minacciato di dar fuoco al convento se vi fosse entrata Smeralda, si rifiutarono di accoglierla, ma le insistenze della beata ebbero infine ragione dell’opposizione dei fratelli ed ella, vestendo l’abito religioso, ricevette il nome di Eustochia. Una sua preghiera al Crocifisso mostra da quale desiderio di soffrire fosse animata: “O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te”. La Calafato, sceltasi per cella un sottoscala, visse penitente, dormendo poco e sulla nuda terra e affliggendo le sue carni col cilicio e la flagellazione.
Nel convento di S. Maria di Basicò, uno dei più importanti della Sicilia di allora, asilo delle nobili fanciulle messinesi e perciò oggetto dei privilegi dei re, la beata non trovò però il suo ideale di rinunzia, poiché la vita regolare era mitigata da dispense che dispiacevano al suo spirito, nutrito dalle laudi di Jacopone da Todi: progettò quindi una riforma. Callisto III, col decreto del 18 ottobre 1457, accolse le richieste della Calafato che, aiutata anche finanziariamente dalla madre e dalla sorella, si trasferì nel nuovo convento di S. Maria Accomandata. Nonostante l’opposizione di superiori e consorelle, che non vedevano di buon occhio la riforma, Eustochia vi entrò con la madre, la sorella e Jacopa Pollicino. Nemmeno i Frati Minori Osservanti vollero andare a celebrare la Messa nella nuova fondazione e, abbandonata da tutti, la Calafato si rivolse a Roma, ottenendo un nuovo Breve pontificio, in seguito al quale l’arcivescovo di Messina impose ai Frati Osservanti, sotto pena di scomunica, di assumere la cura spirituale delle suore riformate. Il nuovo convento vide rifiorire i primi tempi del movimento francescano, sotto la ferma guida della fondatrice, che insegnava con la parola e con l’esempio l’ideale del Poverello e l’amore del Crocifisso, insieme con l’adorazione eucaristica, nella quale passava notti intere. Le vocazioni affluirono numerose, tanto che l’edificio divenne troppo angusto per la fiorente comunità; per munificenza di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, le Clarisse Riformate poterono trasferirsi a Montevergine, in un nuovo monastero che esiste tuttora. Ivi, per esortare le consorelle alla virtù e all’amore del Crocifisso, la Calafato scrisse un libro sulla Passione. Il 20 gennaio 1485 suor Eustochia morì lasciando la sua ultima raccomandazione: “Prendete, figlie mie, il Crocifisso per Padre, ed Egli vi ammaestrerà in ogni cosa”.
Durante la vita, ed ancor più dopo la morte, si attribuirono alla Calafato vari miracoli. I messinesi la venerarono come protettrice della loro città, specialmente contro i terremoti; il 2 luglio 1777 il senato della città promise di recarsi ogni anno a Montevergine il 20 gennaio e il 22 agosto; nel 1782, infine, la Calafato fu beatificata da Pio VI.
L’arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: “Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell’occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano [accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora. Le braccia sic piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”. Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata ed in piedi nell’abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani.
Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”. Ancora oggi si può vedere il corpo della beata intatto ed in piedi nell’abside della chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio e il 22 agosto. I martirologi francescani ricordano suor Eustochia al 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani.
Autore: Giuseppe Morabito
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Eb 7,25-8,6
Cristo ha offerto sacrifici, una volta per tutte, offrendo se stesso.
Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli. Egli non ha bisogno, come i sommi sacerdoti, di offrire sacrifici ogni giorno, prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo: lo ha fatto una volta per tutte, offrendo se stesso. La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre.
Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito.
Ogni sommo sacerdote, infatti, viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anche Gesù abbia qualcosa da offrire. Se egli fosse sulla terra, non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la Legge. Questi offrono un culto che è immagine e ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu dichiarato da Dio a Mosè, quando stava per costruire la tenda: «Guarda – disse – di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte». Ora invece egli ha avuto un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, perché è fondata su migliori promesse.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 39
Ecco, Signore, io vengo per fare la tua volontà.
Sacrificio e offerta non gradisci,
gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
«Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero;
la tua legge è nel mio intimo».
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.
Esultino e gioiscano in te
quelli che ti cercano;
dicano sempre: «Il Signore è grande!»
quelli che amano la tua salvezza.
Canto al Vangelo 2 Tm 1,10
Alleluia, alleluia.
Il salvatore nostro Cristo Gesù ha vinto la morte
e ha fatto risplendere la vita per mezzo del Vangelo.
Alleluia.
Vangelo Mc 3, 7-12
Gli spiriti impuri gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui.
Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo.
Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.