Santa Messa 19-1-22
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SANTA EUSTOCHIA CALAFATO
Sulla vita della Calafato, clarissa, abbiamo due antichi mss.: il primo è nella Biblioteca comunale di Perugia e una sua copia, debitamente collazionata, il 28 febbraio 1781 fu inviata dall’arcivescovo di Messina alla S. Congregazione dei Riti per il processo di beatificazione della serva di Dio (copia pubblicata dal Macrì nel 1903). L’origine di questo ms. si fa risalire a un tempo di poco successivo alla morte della beata, quando suor Jacopa Pollicino, figlia del barone di Tortorici, su richiesta di suor Cecilia, badessa del monastero di S. Lucia di Foligno (con cui le Clarisse messinesi erano in corrispondenza), scrisse la Vita della Calafato, facendosi aiutare da altre suore che erano vissute con la beata. Suor Cecilia, trasferendosi in seguito a Perugia, portò seco il ms., lo ritoccò e gli diede un miglior ordine, togliendo espressioni prettamente siciliane e arricchendolo di colorito toscano.
Il secondo ms. fu ritrovato da Michele Catalano nella Biblioteca Civica Ariostea di Ferrara e da lui pubblicato nel 1942. Composto nel 1493, due anni dopo la morte della Calafato, riproduce con la più grande fedeltà l’originale, seguendolo anche nelle espressioni siciliane: questo testo “oltre alla notevolissima importanza mistica e al valore agiografico e storico, ha valore non piccolo nella storia della nostra lingua” (Catalano).
Figlia di Bernardo, ricco mercante messinese, e di Macalda Romano Colonna, la Calafato nacque il giovedì santo 1434 nel villaggio detto Annunziata, presso Messina. Chiamata al battesimo Smeralda, crebbe in un’atmosfera di pietà: infatti, la madre, indotta dal b. Matteo di Agrigento, si era affiliata al Terz’Ordine di S. Francesco e viveva una per fetta vita cristiana. La figlia cominciò presto a seguire le sue orme. Una visione del crocifisso, avuta in una chiesa, la decise a darsi completamente al Signore e, respingendo i numerosi pretendenti, domandò di entrare fra le Clarisse di S. Maria di Basicò. Le suore, però, intimorite dai fratelli della Calafato, che avevano minacciato di dar fuoco al convento se vi fosse entrata Smeralda, si rifiutarono di accoglierla, ma le insistenze della beata ebbero infine ragione dell’opposizione dei fratelli ed ella, vestendo l’abito religioso, ricevette il nome di Eustochia. Una sua preghiera al Crocifisso mostra da quale desiderio di soffrire fosse animata: “O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te”. La Calafato, sceltasi per cella un sottoscala, visse penitente, dormendo poco e sulla nuda terra e affliggendo le sue carni col cilicio e la flagellazione.
Nel convento di S. Maria di Basicò, uno dei più importanti della Sicilia di allora, asilo delle nobili fanciulle messinesi e perciò oggetto dei privilegi dei re, la beata non trovò però il suo ideale di rinunzia, poiché la vita regolare era mitigata da dispense che dispiacevano al suo spirito, nutrito dalle laudi di Jacopone da Todi: progettò quindi una riforma. Callisto III, col decreto del 18 ottobre 1457, accolse le richieste della Calafato che, aiutata anche finanziariamente dalla madre e dalla sorella, si trasferì nel nuovo convento di S. Maria Accomandata. Nonostante l’opposizione di superiori e consorelle, che non vedevano di buon occhio la riforma, Eustochia vi entrò con la madre, la sorella e Jacopa Pollicino. Nemmeno i Frati Minori Osservanti vollero andare a celebrare la Messa nella nuova fondazione e, abbandonata da tutti, la Calafato si rivolse a Roma, ottenendo un nuovo Breve pontificio, in seguito al quale l’arcivescovo di Messina impose ai Frati Osservanti, sotto pena di scomunica, di assumere la cura spirituale delle suore riformate. Il nuovo convento vide rifiorire i primi tempi del movimento francescano, sotto la ferma guida della fondatrice, che insegnava con la parola e con l’esempio l’ideale del Poverello e l’amore del Crocifisso, insieme con l’adorazione eucaristica, nella quale passava notti intere. Le vocazioni affluirono numerose, tanto che l’edificio divenne troppo angusto per la fiorente comunità; per munificenza di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, le Clarisse Riformate poterono trasferirsi a Montevergine, in un nuovo monastero che esiste tuttora. Ivi, per esortare le consorelle alla virtù e all’amore del Crocifisso, la Calafato scrisse un libro sulla Passione. Il 20 gennaio 1485 suor Eustochia morì lasciando la sua ultima raccomandazione: “Prendete, figlie mie, il Crocifisso per Padre, ed Egli vi ammaestrerà in ogni cosa”.
Durante la vita, ed ancor più dopo la morte, si attribuirono alla Calafato vari miracoli. I messinesi la venerarono come protettrice della loro città, specialmente contro i terremoti; il 2 luglio 1777 il senato della città promise di recarsi ogni anno a Montevergine il 20 gennaio e il 22 agosto; nel 1782, infine, la Calafato fu beatificata da Pio VI.
L’arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: “Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell’occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano [accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora. Le braccia sic piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”. Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata ed in piedi nell’abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani.
Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”. Ancora oggi si può vedere il corpo della beata intatto ed in piedi nell’abside della chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre soprattutto il 20 gennaio e il 22 agosto. I martirologi francescani ricordano suor Eustochia al 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani.
Autore: Giuseppe Morabito
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura 1 Sam 17, 32-33. 37. 40-51
Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra.
Dal primo libro di Samuèle
In quei giorni, Davide disse a Saul: «Nessuno si perda d’animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Tu non puoi andare contro questo Filisteo a combattere con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d’armi fin dalla sua adolescenza». Davide aggiunse: «Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell’orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo». Saul rispose a Davide: «Ebbene va’ e il Signore sia con te».
Davide prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nella sua sacca da pastore, nella bisaccia; prese ancora in mano la fionda e si avvicinò al Filisteo.
Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva. Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell’aspetto. Il Filisteo disse a Davide: «Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?». E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi. Poi il Filisteo disse a Davide: «Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche».
Davide rispose al Filisteo: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai sfidato. In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e ti staccherò la testa e getterò i cadaveri dell’esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele. Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché del Signore è la guerra ed egli vi metterà certo nelle nostre mani».
Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse a prendere posizione in fretta contro il Filisteo. Davide cacciò la mano nella sacca, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s’infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra.
Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra, colpì il Filisteo e l’uccise, benché Davide non avesse spada. Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 143
Benedetto il Signore, mia roccia.
Benedetto il Signore, mia roccia,
che addestra le mie mani alla guerra,
le mie dita alla battaglia.
Mio alleato e mia fortezza,
mio rifugio e mio liberatore,
mio scudo in cui confido,
colui che sottomette i popoli al mio giogo.
O Dio, ti canterò un canto nuovo,
inneggerò a te con l’arpa a dieci corde,
a te, che dai vittoria ai re,
che scampi Davide, tuo servo, dalla spada iniqua.
Canto al Vangelo Cf Mt 4, 23
Alleluia, alleluia.
Gesù annunciava il vangelo del Regno
e guariva ogni sorta di malattie e infermità nel popolo.
Alleluia.
VangeloMc 3, 1-6
E’ lecito in giorno di sabato salvare una vita o ucciderla?
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo.
Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita.
E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.