Messa quotidiana

Santa Messa 18-2-23

BEATO GIOVANNI DA FIESOLE (B. ANGELICO)

“Chi fa cose di Cristo, con Cristo deve star sempre”. Era solito ripeterlo Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, noto come Beato Angelico. Convinzione del pittore era che ogni azione dovesse essere orientata da Dio. Anche la pittura, dono in cui eccelleva, fu da lui intesa come espressione dell’esperienza contemplativa, strumento di lode e di elevazione delle menti alle realtà celesti. Nato a Vicchio del Mugello in Toscana a fine XIV secolo, fin da giovane mostrò una spiccata predisposizione per il disegno e la miniatura. Insistente si fece nell’animo del giovane quell’anelito al bello, che se in un primo momento lo aveva portato ad assecondare l’innato talento artistico, negli anni si tradusse in una chiara, distinta chiamata alla vocazione religiosa da parte di Dio, colui che è Bellezza.

La pittura come preghiera
Insieme al fratello Benedetto entrò nel convento domenicano di Fiesole: preghiera, studio e austerità affinarono lo spirito e il pennello di Fra’ Giovanni conducendolo a tradurre in immagini cariche di umanità e misticismo il frutto della sua orazione. Crocifissi, Madonne, Annunciazioni vibranti di luce diafana e pale d’altare sono espressione di un’anima che in semplicità evangelica, attraverso un umile, disciplinato lavoro di bottega, seppe vivere con il cuore in cielo. Si narra dipingesse in ginocchio e non iniziasse mai una pittura senza aver prima pregato, commuovendosi quando riproduceva il Cristo in croce.

Sintesi tra Umanesimo e fede
Nell’Angelico, così lo chiamò per la prima volta fra Domenico da Corella nel 1469, non c’è mai antitesi tra umanità e divinità, corpo e spirito, fede e ragione: la dolcezza, la grazia, la beatitudine delle figure nate “di getto” dal suo pennello – Vasari scrive infatti che “avea per costume non ritoccare alcuna dipintura (…) per creder che così fusse la volontà di Dio” –  rivelano un perfetto connubio tra umanesimo e religione. In Beato Angelico si realizza un’intima sintesi tra il rigore prospettico, l’attenzione alla figura umana, già rinascimentali, e la tradizione medievale che aveva tra i suoi postulati la funzione didattica dell’arte e il valore mistico della luce. Testimonianza della purezza dell’arte di Giovanni da Fiesole sono gli affreschi (1438-1445) nel convento di san Marco a Firenze: catechesi per immagini, che, a grandezza naturale, ispirano una profonda immedesimazione nella Passione e Morte di Cristo. La fama di queste pitture ispirò Eugenio IV a chiamare il domenicano a dipingere in Vaticano una cappella nell’antica basilica di san Pietro, poi distrutta. Si narra anche che il successore, Niccolò V non potè trattenere le lacrime, nel 1449, al cospetto degli affreschi con le storie dei santi Lorenzo e Stefano, commissionati al frate nella cappella privata del Palazzo Apostolico.  Ad Orvieto, nel Duomo, con Benozzo Gozzoli, Frà Angelico lascia testimonianza di sé nella volta della Cappella di San Brizio.

Patrono degli artisti
Tra il 1448 e il 1450 diviene priore di san Domenico a Fiesole, un ruolo che svolge con umiltà e spirito di servizio. “Se avesse voluto – ricorda ancora Vasari – avrebbe potuto vivere in modo molto agiato e diventare ricco grazie alla sua arte”, ma rifuggì sempre il potere, la ricchezza e la fama, anche quando rifiutò senza esitazioni da papa Parentucelli la sede episcopale di Firenze. Morì il 18 febbraio 1455 nel convento di Santa Maria sopra Minerva a Roma. Nell’attigua Basilica si trovano ancora i suoi resti mortali e sono tanti i pellegrini che ogni anno visitano la sua tomba. A concedergli il culto liturgico, riconoscendo ufficialmente la qualifica di “beato”, tramandata nei secoli, è stato il 2 ottobre 1982 San Giovanni Paolo II che due anni dopo lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.

Fonte: www.vaticannews.va

LITURGIA DELLA PAROLA


Prima Lettura
   Eb 11, 1-7

Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio.

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile.
Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
Per fede, Enoch fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.
Per fede, Noè, avvertito di cose che ancora non si vedevano, preso da sacro timore, costruì un’arca per la salvezza della sua famiglia; e per questa fede condannò il mondo e ricevette in eredità la giustizia secondo la fede.

Salmo Responsoriale    Dal Salmo 144 
O Dio, voglio benedire il tuo nome in eterno.

Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza.

Una generazione narra all’altra le tue opere,
annuncia le tue imprese.
Il glorioso splendore della tua maestĂ 
e le tue meraviglie voglio meditare.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. 

Canto al Vangelo   Mc 9,7
Alleluia, alleluia.

Si aprirono i cieli e si udì la voce del Padre:
«Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
Alleluia.

Vangelo   Mc 9, 2-13
Fu trasfigurò davanti a loro.

Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosè e conversavano con Gesù.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».
E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro piĂą nessuno, se non GesĂą solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
E lo interrogavano: «Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elìa?». Egli rispose loro: «Sì, prima viene Elìa e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta scritto del Figlio dell’uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato. Io però vi dico che Elìa è già venuto e gli hanno fatto quello che hanno voluto, come sta scritto di lui».