Santa Matilde di Hackeborn Badessa
– Helfta (Germania) 1241 + 1291)
È la terza figlia del barone Hackeborn
imparentato col Barbarossa.
È nobile e ricco, ma uomo di fede.
Prima di Matilde ha già dato al monastero
la figlia Gertrude. Queste due sorelle formano le quattro mistiche
colonne della vita religiosa di Germania a quell’epoca. Da Rodardsdorf il
monastero si trasferisce a Helfta, nella
tenuta del barone Hackeborn. Matilde
entra a sette anni, decide di rimanere, veste l’abito e professa
i voti. Subito si distingue per fervore, intelligenza,
soavità e capacità. Per la bella voce è detta “l’usignolo di
Dio”. Acinquant’anni ha una crisi interiore. Nasce proprio
allora la sua forte vocazione mistica. Confida a due consorelle
le visioni e le esperienze che Dio le concede. Queste
annotano tutto. Lei se ne rammarica vivamente per umiltà.
Gesù la rassicura: “È per la mia gloria”. Da badessa deve
guidare le sorelle e curare specialmente la liturgia e l’istruzione.
È evidente ora che lo Spirito Santo le dà una profondità
di conoscenza di tutta la Scrittura e della dottrina
dei Padri e della Chiesa. Tutti vogliono ascoltarla e rimangono
edificati dall’intelligenza e dall’amore, che questa
donna ha per il Signore e per il prossimo. È provata intanto
da durissima sofferenza. Gesù le spiega che il culmine dell’amore
è sulla croce. La Madonna la guida in questo cammino
di ascesa. Ormai vicina a morire, prega Gesù di
lasciarla ancora patire per la salvezza dei peccatori. Resterà
così, diremmo sulla croce, ancora per otto anni. Il “Liber
specialis gratiae” è un poema delle sue confidenze con Dio
e allo stesso tempo una fonte di sapienza mistica, che illumina
tutto il cammino di salvezza.
Ci sono due Matilde e due Gertrude,
che al monaster di Helfta danno lustro.
Una fulgente gara di bontà
ne fa della Chiesa un grande vanto.
Or raccontar vogliamo di Matilde,
che a cinquant’anni vive il suo calvario.
Una profonda crisi nel mistero,
che va versando Dio nel suo spirito.
Confida a due sorelle questo dramma.
Quelle ne prendon nota attentamente.
La cosa a lei dispiacque proprio tanto.
Gesù le dice: “È sol per la mia gloria”.
Noi conosciam così il grande dono,
che va facendo Dio alla sua anima.
Le va stendendo intorno un dolce velo,
le va gettando dentro immensa luce.
Se dirigeva prima il bel canto
e rimuoveva i minimi errori
per far più degna quella lode a Dio,
adesso è Dio stesso il suo canto.
Felici eran tutte d’imparare
per elevare meglio il cuore al Cielo,
adesso è il Ciel che scende nel suo cuore;
adesso il suo pregare è contemplare.
Talvolta resta tanto in Dio rapita,
che fan fatica l’altre a continuare.
Profonda commozione le trattiene
sicché subentra il pianto alle parole.
Lei, per la voce detta “l’usignolo”,
adesso è tramutata in serafino.
Il suo tono unisce a quel degli Angeli,
che stanno intorno al trono del Signore.
“Liber specialis gratiae” lo dimostra,
ora le va dettando Gesù stesso
come cantare al Dio dell’amore.
La sa guidar la Vergine Maria.
– O figlia mia, tu brami il santo amore?
L’amor supremo ed unico è Gesù.
Bacialo nella culla di Betlemme.
Adoralo e dissetati di Lui.
Nell’orto del Getsemani consolalo,
e sul Calvario stringiti ai suoi piedi.
Fra rovi e sassi seguilo per via
quando in cerca va dei peccatori -.
Ormai Matilde vive del Vangelo:
– Gesù, ti prego fammi ancora vivere
così potrò di più con te patire -.
Per otto anni Lui ti dice “sì”.
P. G. Alimonti OFM cap. Vento Impetuoso, Vol. V, pp 341-342-343