Le letture di oggi sono un concentrato di paradossi. Il re messianico, il cui «dominio sarà da mare a mare» (prima lettura), appare in atteggiamento mite e indifeso, cavalca un asinello e non un focoso cavallo da guerra. La sua « epifania» non è quella sfolgorante e trionfale del re guerriero e vittorioso, che trascina dietro a sé colonne di prigionieri, come preda di guerra. Egli è re di pace che spezza i simboli e gli strumenti di guerra. La sua persona e il suo programma richiamano piuttosto la figura del Servo di Iahvè che, come leggiamo inIs42,1-4, si presenta quale modello dei «poveri di Iahvè».
E’ il paradosso di un re umile eppure dominatore del mondo. Richiama inevitabilmente Gesù, che nel giorno delle palme fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme come un re pacifico cavalcando un mite puledro (Lc 19,35ss.).
Altrettanto paradossali sono le affermazioni dei vangelo. Sembra di sentire l’eco del discorso della montagna. Là il genere letterario era quello delle beatitudini, qui è quello della benedizione e del ringraziamento al Padre. Là i poveri, gli umili e i perseguitati sono chiamati beati perché di loro è il regno dei cieli; qui sono ancora gli umili, gli ignoranti e gli oppressi ai quali Dio rivela i segreti del suo regno.
La legge del regno
In realtà, lo sappiamo, Dio si rivela a tutti, ma i sapienti rendono spesso inefficace e vana la rivelazione di Dio. Gli intelligenti e i sapienti sono, qui, i maestri religiosi del tempo: gli scribi, i farisei, conoscitori della Legge e abili manipolatori delle tradizioni. Possedendo la conoscenza della Legge essi diventano oppressori e caricano le spalle dei poveri e degli ignoranti «di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
(Lc 11,46). Gesù, invece, chiama a sé coloro che sono stanchi e oppressi, e il giogo che egli impone è dolce e leggero. Il suo giogo, però, non è leggero perché egli sia meno esigente, quasi che la sua fosse una moralità della permissività e della licenza, ma perché è lui a renderne leggero il peso con la sua solidarietà e concreta partecipazione. Lui è il primo dei poveri, dei semplici, dei miti. Lui si carica per primo la croce sulle spalle: è la sua vicinanza che rende sopportabile e leggera la croce di chi lo segue.
La legge del regno di Dio è la legge del piùpiccolo, del più povero. Dio sceglie gli umili, i semplici, gli ignoranti. E la legge del granello di senapa, degli inizi umili e nascosti… Lo fa notare Paolo ai Corinzi, malati di megalomania, desiderosi di doni e carismi vistosi, grandi estimatori della sapienza del mondo: «Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio»(1 Cor 1,26-29).
Ostacoli al regno
Non bisogna confondere la povertà sociologica con la situazione descritta da Gesù nel vangelo, quasi che essere poveri ed oppressi sia, automaticamente, sinonimo di figlio del Regno.
Certamente Gesù ha voluto dire che la ricchezza, la sapienza, la grandezza «secondo l’estimazione terrena» possono costituire gravi ostacoli al regno di Dio, nel senso che danno sicurezza, fiducia nelle proprie forze, autonomia, cioè quegli atteggiamenti di auto-sufficienza che egli ha sempre condannato nei «grandi» del suo tempo, e che sono stati alla base del loro rifiuto del Regno. Certamente Gesù ha ancora voluto affermare che i poveri, gli ultimi sono nelle condizioni ideali per accogliere il suo messaggio di liberazione, ma anch’essi hanno bisogno, per viverlo, di passare attraverso il processo della liberazione pasquale.
Disponibilità alla speranza
La capacità di accogliere il messaggio evangelico si lega ad una certa libertà che viene dal non possedere, ma di per sé il non possedere non genera spontaneamente una coscienza evangelica.
I poveri hanno le condizioni (che mancano ai ricchi!) di vivere il vangelo, perché sono disponibili alla speranza, ma non lo vivono se non prendono coscienza, attraverso scelte sempre rinnovate, che l’uomo è figlio di Dio non quando possiede di più, ma quando è solidale con gli altri uomini e intende la vita come un costruire nella speranza.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 19, 2-3; CCL 41, 252-254)
Davide ha confessato: «Riconosco la mia colpa» (Sal 50, 5). Se io riconosco, tu dunque perdona. Non presumiamo affatto di essere perfetti e che la nostra vita sia senza peccato. Si adatta alla condotta quella lode che non dimentichi la necessità del perdono. Gli uomini privi di speranza, quanto meno badano ai propri peccati, tanto più si occupano di quelli altrui. Infatti cercano non che cosa correggere, ma che cosa biasimare. E siccome non possono scusare se stessi, sono pronti ad accusare gli altri. Non è questa la maniera di pregare e di implorare perdono da Dio, insegnataci dal salmista, quando ha esclamato: «Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 50, 5). Egli non stava a badare ai peccati altrui. Citava se stesso, non dimostrava tenerezza con se stesso, ma scavava e penetrava sempre più profondamente in se stesso. Non indulgeva verso se stesso, e quindi pregava sì che gli si perdonasse, ma senza presunzione.
Vuoi riconciliarti con Dio? Comprendi ciò che fai con te stesso, perché Dio si riconcili con te. Poni attenzione a quello che si legge nello stesso salmo: «Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non lì accetti» (Sal 50, 18). Dunque resterai senza sacrificio? Non avrai nulla da offrire? Con nessuna offerta potrai placare Dio? Che cosa hai detto? «Non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti» (Sal 50, 18). Prosegui, ascolta e prega: «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi» (Sal 50, 19). Dopo aver rigettato ciò che offrivi, hai trovato che cosa offrire. Infatti presso gli antichi offrirvi vittime del gregge e venivano denominate sacrifici. «Non gradisci il sacrificio»: non accetti più quei sacrifici passati, però cerchi un sacrificio.
Dice il salmista: «Se offro olocausti, non li accetti». Perciò dal momento che non gradisci gli olocausti, rimarrai senza sacrificio? Non sia mai. «Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi» (Sal 50, 19). Hai la materia per sacrificare. Non andare in cerca del gregge, non preparare imbarcazioni per recarti nelle più lontane regioni da dove portare profumi. Cerca nel tuo cuore ciò che è gradito a Dio. Bisogna spezzare minutamente il cuore. Temi che perisca perché frantumato? Sulla bocca del salmista tu trovi questa espressione: «Crea in me, o Dio, un cuore puro» (Sal 50, 12). Quindi deve essere distrutto il cuore impuro, perché sia creato quello puro.
Quando pecchiamo dobbiamo provare dispiacere di noi stessi, perché i peccati dispiacciono a Dio. E poiché constatiamo che non siamo senza peccato, almeno in questo cerchiamo di essere simili a Dio: nel dispiacerci di ciò che dispiace a Dio. In certo qual modo sei unito alla volontà di Dio, poiché dispiace a te ciò che il tuo Creatore odia.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima LetturaZc 9, 9-10
Ecco, a te viene il tuo re umile.
Dal libro del profeta Zaccaria. «Esulta grandemente, figlia di Sion,
giubila, figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d’asina.
Farà sparire il carro da guerra da Èfraim
e il cavallo da Gerusalemme,
l’arco di guerra sarà spezzato,
annuncerà la pace alle nazioni,
il suo dominio sarà da mare a mare
e dal Fiume fino ai confini della terra».
Salmo ResponsorialeDal Salmo 144 Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
Seconda Lettura Rm 8, 9. 11-13 Se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.
E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
Canto al VangeloCf Mt 11,25 Alleluia, alleluia. Ti rendo lode, Padre,
Signore del cielo e della terra,
perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno. Alleluia.
Vangelo Mt 11, 25-30
Io sono mite e umile di cuore. Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo Gesù disse:
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».