San Nicola nacque a Patara (Asia Minore) intorno al 250. Fu vescovo di Myra in Lycia. Il suo ministero si svolse soprattutto al tempo di Costantino il Grande, ma si presume che abbia sofferto per le persecuzioni di Diocleziano e di Licinio.
Pastore pieno di carità, attento ai bisogni spirituali e materiali dei suoi fedeli, si sarebbe impegnato nella lotta all’idolatria e alle eresie.
Morì probabilmente qualche tempo dopo aver partecipato al Concilio di Nicea del 325.
Celebre per la sua protezione sul mare, divenne tra l’XI e il XV secolo uno dei Santi più venerati della cristianità, soprattutto dopo la traslazione del suo corpo a Bari (Italia) nel 1087 ad opera di una spedizione di marinai baresi.
San Nicola è patrono della Regione, della Città, dell’Arcidiocesi e della Provincia di Bari, ma l’Ordine di San Domenico, fin dalle origini (1216), ha avuto verso il Santo una particolare devozione. Nelle «Vitae fratrum» (1260 circa) di Gerardo di Frachet, San Nicola è sempre unito alla vergine Maria; intercede per i frati e li consola nelle loro difficoltà. Alcuni frati della prima generazione dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), di fronte alle difficoltà degli inizi, furono assaliti da tali pensieri e sentimenti di scoraggiamento che furono sul punto di lasciare l’Ordine. Molti furono turbati da questo comportamento e da questa crisi; tra questi soprattutto fr. Rodolfo, rettore della chiesa di San Nicola delle Vigne in Bologna. Il Signore lo consolò con una visione: Cristo, con a fianco la Beata Maria e San Nicola. Il Signore lo invitava a non aver paura e a confidare nella Vergine che ha cura dei suoi frati. Poi vide una nave piena di frati e San Nicola gli diceva: «Vedi questi frati? Non avere perciò timore: sono tanti, che riempiranno tutto il mondo» (cfr. Vitae fratrum, n. 35).
Si racconta anche di un frate che mentre era in agonia si mostrava tanto contento che la gioia gli traspariva dal volto. Gli fu chiesto il motivo di tanta contentezza e questi rispose che fin da quando era studente era solito fare memoria di San Nicola e Santa Caterina d’Alessandria; e nell’Ordine ha continuato questa abitudine. Tra l’altro San Nicola gli aveva mostrato un posto bellissimo e gli aveva detto: Questo è il luogo del mio riposo. Mentre la Vergine: Questo è il posto che io ho preparato per te e per i tuoi confratelli. Quindi aspettava con gioia la morte, desideroso di andare al più presto in quel luogo (cfr. Vitae fratrum, n. 69).
È significativo il fatto che l’altare dedicato al Santo di Myra era il più frequentato e preferito dai frati. San Nicola viene anche invocato per liberare le anime del Purgatorio (cfr. Vitae fratrum, n. 377).
Probabilmente questa particolare devozione è dovuta al fatto che la chiesa dei domenicani di Bologna, ottenuta nel 1219 dal vescovo Enrico della Fratta, consacrata dalla vita e dalla morte di San Domenico, era a lui dedicata (San Nicolò delle Vigne).
Da quarantacinque anni (1951-96), provvidenzialmente, è affidata all’Ordine dei Predicatori la grandiosa basilica che a Bari custodisce gelosamente le venerate reliquie del Santo di Myra, per volontà della Sede Apostolica.
I frati predicatori continuano indefessi a propagare il culto di San Nicola e lavorano soprattutto per l’unità delle Chiese sorelle, cattolica e ortodossa.
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La forza dell’amore vinca l’orrore della morte
Dai «Trattati su Giovanni» di sant’Agostino, vescovo
(Tratt. 123, 5; CCL 36, 678-680)
Prima il Signore domanda, e non una volta, ma due e tre volte, quello che già sapeva, se Pietro lo amava; e per tre volte si sente ripetere da Pietro che lo ama; e per tre volte fa a Pietro la stessa raccomandazione, di pascere le sue pecore.
Così alla triplice negazione che Pietro pronunziò un tempo, fa riscontro ora la triplice dichiarazione del suo amore, in modo che la lingua non serva all’amore meno di quanto servì alla paura e non sembri avergli fatto dire più parole la temuta morte che la vita presente. Sia dunque impegno dell’amore pascere il gregge del Signore, se il rinnegare il Pastore era stato indizio di paura.
Coloro che pascono le pecore di Cristo con l’intenzione di condizionarle a se stessi e di non considerarle di Cristo, dimostrano di amare non Cristo, ma se stessi, spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dall’amore di obbedire, di aiutare, di piacere a Dio. Costoro, cui l’Apostolo rimprovera di cercare il proprio interesse e non quello di Cristo, devono essere messi in guardia dalle parole che Cristo
ripete con insistenza: Mi ami? Pasci le mie pecore (cfr. Gv 21, 17), che significano: Se mi ami, non pensare a pascere te stesso, ma pasci le mie pecore, e pascile come mie, non come tue; cerca in esse la mia gloria, non la tua, il mio dominio, non il tuo, il mio guadagno, non il tuo, se non vuoi essere del numero di coloro che appartengono ai «tempi difficili», di quelli cioè che amano se stessi con tutto quello che deriva da questo amore di sé, sorgente di ogni male.
Coloro, dunque, che pascono le pecore di Cristo, non amino se stessi, per non pascerle come loro proprie ma come di Cristo. Il male che più di ogni altro devono evitare quelli che pascono le pecore di Cristo è quello di ricercare i propri interessi invece di quelli di Gesù Cristo, asservendo alle loro brame coloro per cui fu versato il sangue di lui.
Colui che pasce le pecore di Cristo deve crescere nell’amore di lui al punto che l’ardore dello spirito vinca anche quel timore naturale della morte, per cui non vogliamo morire anche quando vogliamo vivere con Cristo. Ma per quanto grande sia l’orrore della morte lo deve far vincere la forza dell’amore per colui che, essendo la nostra vita, ha voluto per noi sopportare anche la morte.
Del resto se la morte comportasse poca o nessuna sofferenza, non sarebbe grande com’è la gloria dei martiri. Se il buon Pastore che diede la sua vita per le sue pecore suscitò tra esse tanti martiri, quanto più debbono lottare per la verità contro il peccato fino alla morte, fino al sangue, coloro ai quali egli affidò le sue stesse pecore da pascere, cioè da formare e guidare. Davanti all’esempio della passione di Cristo non è chi non veda che i pastori devono stringersi maggiormente vicino al Pastore imitandolo, proprio perché già tante pecore seguirono l’esempio di lui: dietro a lui, unico Pastore, anche i pastori sono pecore sue egli che per tutti accettò di patire, e, al fine di patire per tutti, si è fatto lui stesso agnello.
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