Omelia 31-1-14
Aiutaci a coltivare la tua grazia in noi Signore Gesù
SAN GIOVANNI BOSCO
Sacerdote (1815-1888)
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Di famiglia povera, ma ricco di doti, fu mosso da speciale vocazione divina a dedicarsi totalmente alla gioventù. Dinamico e concreto, da ragazzo fondò fra i coetanei la «società dell’allegri», sulla base di «guerra al peccato». Fatto sacerdote, sentì e affermò sempre di dovere la sua opera a Maria Ausiliatrice. Iniziò con i giovani in cerca di lavoro: diede loro una casa, un cuore amico, istruzione e protezione, assicurando per essi onesti contratti di lavoro; creò scuole professionali, laboratori. Offrì uguale assistenza agli studenti. Indirizzò i giovani a conquistare un posto nel mondo, aiutandoli a raggiungere competenza e abilità professionali; li orientò alla vita cristiana, curando molto la formazione religiosa, la frequenza ai sacramenti, la devozione a Maria. Zelò le vocazioni. Cercò fra i suoi ragazzi i migliori collaboratori alla sua opera, avendo l’ineguagliabile arte di formare ciascuno secondo la sua personalità. Con loro formò i «Salesiani» e intraprese una vasta opera missionaria. Con santa Maria Domenica Mazzarello fondò le«Figlie di Maria Ausiliatrice; come collaboratori esterni, uomini e donne, creò i «Cooperatori», salesiani nel mondo. Anticipatore in molti campi della vita ecclesiale, Don Bosco, tanto bonario e semplice, ma di acuto ingegno e di forte capacità di azione, è tipo di apostolo dei tempi nuovi. La sua pedagogia cristiana, attuata con abilità di genio ed efficacia di santo, mira a «prevenire» i mali a«preservare» la gioventù con l’intelligente comprensione, l’adattamento alle sue esigenze, con ragionevolezza, confidenza, carità, allegria, espressioni tutte della«presenza» costante dell’educatore: «Che i giovani sappiano di essere amati». Già vecchio, poteva dire di sé: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani». Tra i più bei frutti della sua pedagogia, san Domenico Savio, quindicenne, che aveva capito la sua lezione: «Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri». |
Imitare Gesù e lasciarsi guidare dall’amore Dalle «Lettere di san Giovanni Bosco Se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre tenero oggetto delle mie occupazioni, dei miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo alla maniera di chi vi si adatta per forza e per compiere un dovere. Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! E’ certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza e alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo. Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne a ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi scandalo, e in molti la Santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti e umili di cuore (4r.Mt 11,29). Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell’animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l’avvenire, e allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione. In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita. Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi. Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere, del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori e unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell’educazione della gioventù. |
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura 2 Sam 11,1-4.5-10.13-17
Mi hai disprezzato e hai preso in moglie la moglie di Urìa l’Ittita.
Dal secondo libro di Samuèle
All’inizio dell’anno successivo, al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Davide mandò Ioab con i suoi servitori e con tutto Israele a compiere devastazioni contro gli Ammoniti; posero l’assedio a Rabbà, mentre Davide rimaneva a Gerusalemme.
Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la donna era molto bella d’aspetto. Davide mandò a informarsi sulla donna. Gli fu detto: «È Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Urìa l’Ittita». Allora Davide mandò messaggeri a prenderla.
La donna concepì e mandò ad annunciare a Davide: «Sono incinta». Allora Davide mandò a dire a Ioab: «Mandami Urìa l’Ittita». Ioab mandò Urìa da Davide. Arrivato Urìa, Davide gli chiese come stessero Ioab e la truppa e come andasse la guerra. Poi Davide disse a Urìa: «Scendi a casa tua e làvati i piedi». Urìa uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una porzione delle vivande del re. Ma Urìa dormì alla porta della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. La cosa fu riferita a Davide: «Urìa non è sceso a casa sua».
Davide lo invitò a mangiare e a bere con sé e lo fece ubriacare; la sera Urìa uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo signore e non scese a casa sua.
La mattina dopo Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per mano di Urìa. Nella lettera aveva scritto così: «Ponete Urìa sul fronte della battaglia più dura; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia». Allora Ioab, che assediava la città, pose Urìa nel luogo dove sapeva che c’erano uomini valorosi. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab; caddero parecchi della truppa e dei servi di Davide e perì anche Urìa l’Ittita.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 50
Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;
nella tua grande misericordia
cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa,
dal mio peccato rendimi puro.
Sì, le mie iniquità io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto.
Così sei giusto nella tua sentenza,
sei retto nel tuo giudizio.
Ecco, nella colpa io sono nato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
Fammi sentire gioia e letizia:
esulteranno le ossa che hai spezzato.
Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.
Canto al Vangelo Mt 11, 25
Alleluia, alleluia.
Ti rendo lode, Padre,
Signore del cielo e della terra,
perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno.
Alleluia.
Vangelo Mc 4,26-34
L’uomo getta il seme e dorme; il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù diceva [ alla folla ]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.