Omelia 3-2-14
Vieni e resta con noi Signore Gesù
SAN BIAGIO
Vescovo e Martire
San Biagio lo si venera tanto in Oriente quanto in Occidente, e per la sua festa è diffuso il rito della “benedizione della gola”, fatta poggiandovi due candele incrociate, sempre invocando la sua intercessione. L’atto si collega a una tradizione secondo cui il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una spina o lisca conficcata nella sua gola.
Vescovo, dunque. Governava, si ritiene, la comunità di Sebaste d’Armenia quando nell’Impero romano si concede la libertà di culto ai cristiani: nel 313, sotto Costantino e Licinio, entrambi “Augusti”, cioè imperatori (e pure cognati: Licinio ha sposato una sorella di Costantino). Licinio governa l’Oriente, e perciò ha tra i suoi sudditi anche Biagio. Il quale però muore martire intorno all’anno 316, ossia dopo la fine delle persecuzioni. Perché?
Non c’è modo di far luce. Il fatto sembra dovuto al dissidio scoppiato tra i due imperatori-cognati nel 314, e proseguito con brevi tregue e nuove lotte fino al 325, quando Costantino farà strangolare Licinio a Tessalonica (Salonicco). Il conflitto provoca in Oriente anche qualche persecuzione locale – forse ad opera di governatori troppo zelanti, come scrive lo storico Eusebio di Cesarea nello stesso IV secolo – con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati, uccisioni di vescovi, tra cui Basilio di Amasea, nella regione del Mar Nero.
Il corpo di Biagio è stato deposto nella sua cattedrale di Sebaste; ma nel 732 una parte dei resti mortali viene imbarcata da alcuni cristiani armeni alla volta di Roma. Una improvvisa tempesta tronca però il loro viaggio a Maratea (Potenza): e qui i fedeli accolgono le reliquie del santo in una chiesetta, che poi diventerà l’attuale basilica, sull’altura detta ora Monte San Biagio, sulla cui vetta fu eretta nel 1963 la grande statua del Redentore, alta 21 metri.
Dal 1863 ha assunto il nome di Monte San Biagio la cittadina chiamata prima Monticello (in provincia di Latina) e disposta sul versante sudovest del Monte Calvo. Numerosi altri luoghi nel nostro Pæse sono intitolati a lui: San Biagio della Cima (Imperia), San Biagio di Callalta (Treviso), San Biagio Platani (Agrigento), San Biagio Saracinisco (Frosinone) e San Biase (Chieti). Ma poi lo troviamo anche in Francia, in Spagna, in Svizzera e nelle Americhe… Ne ha fatta tanta di strada, il vescovo armeno della cui vita sappiamo così poco.
Soffri per le mie pecorelle
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Dìscorso sulla consacrazione episcopale, PLS 2, 639‑640)
«Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Ecco come il Signore ha servito, ecco quali servi esige che noi siamo. Diede la sua vita in riscatto per molti: ci ha redento.
Chi di noi è capace di redimere qualcuno? Noi siamo stati redenti per mezzo del suo sangue e riscattati da morte per mezzo della sua morte e della sua umiltà, noi che eravamo prostrati, siamo stati innalzati; ma anche noi dobbiamo portare la nostra piccola parte alle sue membra, perché siamo diventati sue membra. Egli è la testa, noi il corpo.
Anche l’apostolo Giovanni nella sua lettera ci rivolge l’esortazione a seguire l’esempio del Signore. Cristo aveva detto: «Colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,2728).È questo il modello che l’Apostolo ci consiglia di seguire quando dice: «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16).
Lo stesso Signore ha rivolto questa domanda dopo la sua risurrezione: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?» (Gv 21, 26); e Pietro rispose: «Certo, Signore, tu lo sai chi ti voglio bene» (ivi). Per tre volte Gesù rivolse questa domanda e per tre volte il Signore aggiunse: «Pasci le mie pecorelle» (ivi).
Come mi dimostri che mi ami, se non col pascere le mie pecorelle? Che cosa mi stai per dare, amandomi, quando tutto aspetti da me? Dunque tu devi esprimermi il tuo amore col pascere le mie pecorelle.
Questo una, due, tre volte: «Mi vuoi bene? – Ti voglio bene. Pasci le mie pecorelle» (Gv 21, 16). Rinnegò tre volte per paura, ma confessò tre volte con amore.
E il Signore, dopo aver espresso a Pietro per la terza volta il mandato di pascere le sue pecorelle, rivolgendosi ancora a lui, che, rispondendo, confessava il suo amore e condannava e ripudiava l’antica sua pusillanimità, aggiunse: «Quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio» (Gv 21,19). Gli annunziò la sua croce, gli predisse la sua passione.
Continuando il colloquio, il Signore gli disse: «Pasci le mie pecorelle» (Gv 21,16), cioè soffri per le mie pecorelle.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura 2 Sam 15, 13-14. 30; 16, 5-13
Fuggiamo dalle mani di Assalonne. Lasciate che Simei maledica, poiché glielo ha ordinato il Signore.
Dal secondo libro di Samuèle
In quei giorni, arrivò un informatore da Davide e disse: «Il cuore degli Israeliti è con Assalonne». Allora Davide disse a tutti i suoi servi che erano con lui a Gerusalemme: «Alzatevi, fuggiamo; altrimenti nessuno di noi scamperà dalle mani di Assalonne. Partite in fretta, perché non si affretti lui a raggiungerci e faccia cadere su di noi la rovina e passi la città a fil di spada».
Davide saliva l’erta degli Ulivi, saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva.
Quando poi il re Davide fu giunto a Bacurìm, ecco uscire di là un uomo della famiglia della casa di Saul, chiamato Simei, figlio di Ghera. Egli usciva imprecando e gettava sassi contro Davide e contro tutti i servi del re Davide, mentre tutto il popolo e tutti i prodi stavano alla sua destra e alla sua sinistra. Così diceva Simei, maledicendo Davide: «Vattene, vattene, sanguinario, malvagio! Il Signore ha fatto ricadere sul tuo capo tutto il sangue della casa di Saul, al posto del quale regni; il Signore ha messo il regno nelle mani di Assalonne, tuo figlio, ed eccoti nella tua rovina, perché sei un sanguinario».
Allora Abisài, figlio di Seruià, disse al re: «Perché questo cane morto dovrà maledire il re, mio signore? Lascia che io vada e gli tagli la testa!». Ma il re rispose: «Che ho io in comune con voi, figli di Seruià? Se maledice, è perché il Signore gli ha detto: “Maledici Davide!”. E chi potrà dire: “Perché fai così?”».
Poi Davide disse ad Abisài e a tutti i suoi servi: «Ecco, il figlio uscito dalle mie viscere cerca di togliermi la vita: e allora, questo Beniaminita, lasciatelo maledire, poiché glielo ha ordinato il Signore. Forse il Signore guarderà la mia afflizione e mi renderà il bene in cambio della maledizione di oggi».
Davide e la sua gente continuarono il cammino.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 3
Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!
Signore, quanti sono i miei avversari!
Molti contro di me insorgono.
Molti dicono della mia vita:
«Per lui non c’è salvezza in Dio!».
Ma tu sei mio scudo, Signore,
sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.
A gran voce grido al Signore
ed egli mi risponde dalla sua santa montagna.
Io mi corico, mi addormento e mi risveglio:
il Signore mi sostiene.
Non temo la folla numerosa
che intorno a me si è accampata.
Canto al Vangelo Lc 7,16
Alleluia, alleluia.
Un grande profeta è sorto tra noi,
e Dio ha visitato il suo popolo.
Alleluia.
Vangelo Mc 5, 1-20
Esci, spirito impuro, da quest’uomo!
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.