Omelia 22-9-16
Maria Madre Addolorata, prega per noi
SANT’ IGNAZIO DA SANTHIA’, Cappuccino
Lorenzo Maurizio – così il suo nome di battesimo – nasce il 5 giugno 1686 a Santhià (Vercelli), quarto tra i sei figli dell’agiata famiglia di Pier Paolo Belvisotti e Maria Elisabetta Balocco. Rimasto orfano del padre a sette anni, la madre provvede alla sua formazione affidandolo al pio e dotto sacerdote don Bartolomeo Quallio, suo parente. Sentendosi chiamato alla vita ecclesiastica, dopo le scuole primarie nella città natale, nel 1706 Lorenzo Maurizio passa a Vercelli per gli studi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote nell’autunno del 1710, resta nel capoluogo come cappellano-istruttore della nobile famiglia Avogadro. In questi primi anni di sacerdozio non rinuncia ad associarsi all’apostolato dei Gesuiti, particolarmente nella predicazione delle missioni al popolo. Conoscerà così il suo futuro direttore spirituale, il padre gesuita Cacciamala.
La natia Santhià, desiderando avere il suo concittadino, lo elegge canonico rettore dell’insigne collegiata di Santhià. A loro volta gli Avogadro lo eleggono parroco della parrocchia di Casanova Elvo di cui godevano il giuspatronato. Tuttavia il quasi trentenne don Belvisotti non va in cerca di gloria: ha maturato ben altre mete. Rinunciato alle due nomine e ai benefici loro connessi, il 24 maggio 1716 entra nel convento-noviziato dei Cappuccini di Chieri (Torino) e assume il nome di fr. Ignazio da Santhià con l’intenzione di partire in futuro per le missioni estere. La sua fermezza nel tendere alla perfezione, l’osservanza piena, premurosa, spontanea e gioiosa della vita cappuccina, gli attirano l’ammirazione anche dei più anziani religiosi del noviziato. Dopo gli anni della formazione cappuccina (trascorsi a Saluzzo, a Chieri e a Torino, sul Monte dei Cappuccini), nel Capitolo Provinciale del 31 agosto 1731 viene nominato maestro di noviziato nel convento di Mondovì (Cuneo). In tredici anni di magistero e testimonianza, Ignazio offre alla Provincia monastica del Piemonte ben 121 nuovi frati, alcuni dei quali moriranno in fama di santità. In seguito ad un atto eroico (essendosi addossato la grave oftalmia e le sofferenze del suo ex-novizio Bernardino Ignazio dalla Vezza, impedito di continuare nell’attività missionaria in Congo), nel 1744 deve rinunciare all’incarico e ritirarsi per cure nel convento-infermeria di Torino-Monte.
L’obbedienza ai superiori (alla quale mai si sottrasse), lo inducono a seguire, come cappellano-capo, l’esercito del re di Sardegna Carlo Emanuele III, in guerra contro le armate franco-spagnole(1745-1746), per assistere i militari feriti o contagiati negli ospedali di Asti, Alessandria e Vinovo.
Finita la guerra, il convento del Monte dei Cappuccini di Torino lo accoglie nuovamente per l’ultimo lungo periodo della sua vita (1747-1770). Con una generosità senza misura e con umile e intensa carica spirituale, Ignazio divide la sua attività pastorale tra il convento e la città di Torino: predica settimanalmente agli altri confratelli, attende al ministero della riconciliazione e, nonostante la non più giovane età e le gravi malattie, scende l’erta collina su cui sorge il convento per percorrere le vie della città e incontrare di casa in casa poveri e ammalati, che attendono il conforto della sua parola e della sua ormai celebre benedizione. Intanto si vanno moltiplicando i prodigi e il popolo lo ribattezza “il Santo del Monte”; contemporaneamente su di lui si accentra anche la venerazione dei più distinti personaggi del Piemonte: dai regnanti all’arcivescovo di Torino, Giovanni Battista Roero, al primo vescovo di corte, il cardinale Vittorio Delle Lanze; dal gran cancelliere Carlo Luigi Caisotti di Santa Vittoria, al sindaco della città.
Ignazio da Santhià trascorre gli ultimi due anni nell’infermeria del suo convento, continuando a benedire, a confessare, a consigliare quanti a lui ricorressero. La sua vita appare ormai assorbita e trasformata in quel Crocifisso che egli non sa allontanare dal suo sguardo.
Il 22 settembre 1770, festa di s. Maurizio, patrono suo e della provincia cappuccina del Piemonte, fr. Ignazio muore serenamente nella sua cella, all’età di 84 anni.
La fama della sua santità e i numerosi prodigi attribuiti alla sua intercessione inducono ad avviarne immediatamente il processo di canonizzazione. Dopo la causa ordinaria, nel 1782 viene introdotto il processo apostolico che, a motivo delle vicissitudini della Rivoluzione Francese e delle ricorrenti soppressioni che colpiscono gli Ordini religiosi nell’Ottocento, subisce continui rallentamenti e interruzioni. E se fin dal 19 marzo 1827 Leone XII ne riconosce l’eroicità delle virtù di fr. Ignazio da Santhià, solo il 17 aprile 1966 (dopo oltre un secolo di quasi totale silenzio e dopo la valutazione positiva di due miracoli ottenuti per sua intercessione negli anni precedenti) Paolo VI può procedere alla sua solenne beatificazione.
Giovanni Paolo II ne ha proclamato la santità il 19 maggio 2002, domenica di Pentecoste. Le reliquie di Ignazio da Santhià sono venerate nella chiesa del Monte dei Cappuccini in Torino.
Autore: Padre Mario Durando
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Qo 1, 2-11
Non c’è niente di nuovo sotto il sole.
Dal libro del Qoèlet
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Quale guadagno viene all’uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?
Una generazione se ne va e un’altra arriva,
ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge, il sole tramonta
e si affretta a tornare là dove rinasce.
Il vento va verso sud e piega verso nord.
Gira e va e sui suoi giri ritorna il vento.
Tutti i fiumi scorrono verso il mare,
eppure il mare non è mai pieno:
al luogo dove i fiumi scorrono,
continuano a scorrere.
Tutte le parole si esauriscono
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.
Non si sazia l’occhio di guardare
né l’orecchio è mai sazio di udire.
Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole.
C’è forse qualcosa di cui si possa dire:
«Ecco, questa è una novità»?
Proprio questa è già avvenuta
nei secoli che ci hanno preceduto.
Nessun ricordo resta degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso quelli che verranno in seguito.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 89
Signore, tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.
Canto al Vangelo Gv 14,6
Alleluia, alleluia.
Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore,
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
Alleluia.
Vangelo Lc 9, 7-9
Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.