Testimone

Non conosco la paura

Gherardo Leone persona molto discreta è il noto autore
delle “Lettere dal Gargano, l’articolo di fondo della
rivista della “Casa Sollievo”.
Ha scritto anche qualche libro su Pietrelcina e Padre
Pio. Per i lettori era l’appetitoso e atteso brano che portava
sulle ali d’aquila, nel mondo di Padre Pio.
Stile di consumato scrittore che ti offre l’essenziale
ma che non ti risparmia immagini geniali, voli di fantasia,
reminiscenze nostalgiche di vita lontana.
Gherardo lo vedevo raccolto in preghiera, concentrato
nel tavolo ovale dei membri del Consiglio Generale
della Casa Sollievo, geniale curatore di stampe riguardanti
Padre Pio.
Da ragazzo è stato per ragioni di famiglia in Abruzzo
ed era sempre lieto di narrarmi quei ricordi.
Ha conservato un bel ricordo di questa terra “forte
e gentile”.
In famiglia da piccolo per la sua vivacità e spregiudicatezza
lo chiamavano “senza paura”.
Lascio a lui raccontare.
“Non conoscevo la paura, cosa che poi, per la spericolatezza
che avevo, mi metteva sempre in mezzo ai guai.
In casa, mi chiamavano appunto “senza paura”, perché
giravo ostentatamente per le stanze al buio, mi immergevo
nelle tenebre con decisione di sfida; ma che cosa
sentissi palpitare intorno a me, in quel buio fitto, lo so io”
(Gherardo Leone, “Clima di Padre Pio”, p 33).
“Quando, in certe ore, mi ritrovavo solo nel coro,
frugavo in qualche cassetto degli stalli. Sfogliavo i vecchi
libri.
Osservavo, con un misto di attrazione e di ripugnanza,
la catenella della disciplina.
Dicevo le mie preghiere seduto tra gli stalli, in
quell’odore di legno, di chiuso antico, che ha sempre avuto
il vecchio coro.
Un mattino, m’ero portato appresso un libretto di
devozioni. Avevo intenzione di starmene un po’ di tempo
in orazione.
Avevo appena cominciato, che un rumore come di
catenelle mi fece raggricciare la pelle.
Nel coro non c’era nessuno.
Scrutai tutti gli stalli per capire che diamine fosse.
E intanto mi sentivo tremare tutto.
Quel tintinnio, come d’un pezzo di catena strascicata,
si ripetè, facendomi gelare il sangue.
Ero sempre più inquieto, e mi arrovellavo per capire
da dove venisse.
Un fragore più forte, d’una intensità ed un clamore
innegabili, mi fece balzare in piedi con l’animo in tumulto.
Se il diavolo aveva un volto, certo era quello.
Tremando, scesi dagli stalli e raggiunsi la porta.
Credo di ricordare che le gambe mi reggessero a malapena
per lo spavento.
Appena fuori nel corridoio, mi allontanai con tutta la
rapidità possibile.
Né mi venne più la voglia di andare a pregare in solitudine
nel coro. Il mio misticismo s’era arreso alle prime
avvisaglie.
Né mai mi sono reso conto che quel giorno, nel
coro deserto del convento, quel tintinnio ferroso venisse
da una catenella che scivolava lentamente tra gli stalli per
poi piombare a terra con fragore, o da qualche scherzo del
nemico.
Se avessi conosciuto allora le lettere di Padre Pio, e
la sua lunga lotta con il diavolo, forse avrei riso di quella
mia paura” (ib p. 168-169).
“Perché lui Dio c’è. Sempre. Anche se non lo sentiamo.
Anche se ci è difficile, a volte, o spesso, liberarlo
dalle incrostazioni del giorno, dei fatti, delle sensazioni,
dei sentimenti contrastanti.
È lui che dà valore ai nostri giorni.
Perché è al fondo d’ogni cosa.
E tutto l’affannarsi degli uomini, tutto il nostro arrovellarci,
trafficare, è ben poca cosa se non possiamo riferirlo
a lui.
Tutte le carriere più strepitose. Tutti i successi più
clamorosi. Tutta la fama più risonante.
All’opposto, c’è il silenzio, l’umiltà, l’oscurità.
Spesso l’oblio più assoluto.
Ma se c’è Dio, c’è l’essenziale.
Perché è questo che più conta.
Sopra ogni cosa” (ib. p 261).

P. G. Alimonti OFM cap, Raggi di sole, Vol. 1, pp 227,228,229,230