Metti il dito
– Abbiamo visto il Signore! –.
– Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi
e non metto il dito nel posto dei chiodi…
e non metto la mia mano nel suo costato,
non crederò – (cfr Gv 20, 25).
Questa è la fede di Tommaso:
il dito nelle piaghe delle mani;
la mano nella piaga del costato.
Egli non ha visto GesĂą in croce
e non l’ha visto deposto
sulle ginocchia della Madre,
ma ha fede in quelle ferite,
che in tanti sul Calvario hanno visto.
Sono i segni della morte di GesĂą.
I condiscepoli gli riferiscono che è vivo
ed è apparso a tutti loro insieme.
Tommaso non li taccia di menzogna
e non nega la possibilitĂ della risurrezione,
ma teme un credo senza prove.
Sarebbe una iattura sull’altra.
E poi non riesce a immaginare
una persona viva
con le piaghe di un morto.
Per la prima volta è costretto
a porsi il problema in termini concreti.
Gesù è risorto!
Glielo assicurano con tutta
la forza della veritĂ .
Non avrebbe motivi per dubitare
ma il fatto sarebbe talmente sconvolgente,
che nel dubbio preferisce barricarsi nell’ostinazione.
GesĂą risorto sarebbe non solo
la vittoria contro la morte,
ma la più grande rivoluzione dell’umanità .
Ora per lui GesĂą deve suonare
oltre alle campane della risurrezione,
quella della misericordia.
Tommaso è tra i chiamati a testimoniare la risurrezione
e come potrebbe se egli stesso ne dubita?
Per otto giorni si alternano
ore di discussione amorevole
e di silenzio pensieroso.
Ecco di nuovo Gesù: – Pace a voi! –
ATommaso: – Metti il tuo dito nel posto dei chiodi
e guarda le mie mani;
stendi la tua mano
e mettila nel mio costato! –
– Mio Signore e mio Dio! – (Gv 20, 26-28).
GesĂą ha raccolto la sfida.
Ha risposto punto per punto alle parole di Tommaso,
che si arrende di fronte all’evidenza.
Tuttavia GesĂą non gli risparmia
il meritato rimprovero.
A lui dona il miracolo per la fede;
ma a chi è disposto a credere,
dona la fede senza il miracolo,
o meglio dona il miracolo della fede.
Dio dona la beatitudine.
Tommaso troverĂ la via della beatitudine
nella prova suprema del martirio.
– Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi
e non metto il dito nel posto dei chiodi…
e non metto la mia mano nel suo costato,
non crederò – (cfr Gv 20, 25).
Questa è la fede di Tommaso:
il dito nelle piaghe delle mani;
la mano nella piaga del costato.
Egli non ha visto GesĂą in croce
e non l’ha visto deposto
sulle ginocchia della Madre,
ma ha fede in quelle ferite,
che in tanti sul Calvario hanno visto.
Sono i segni della morte di GesĂą.
I condiscepoli gli riferiscono che è vivo
ed è apparso a tutti loro insieme.
Tommaso non li taccia di menzogna
e non nega la possibilitĂ della risurrezione,
ma teme un credo senza prove.
Sarebbe una iattura sull’altra.
E poi non riesce a immaginare
una persona viva
con le piaghe di un morto.
Per la prima volta è costretto
a porsi il problema in termini concreti.
Gesù è risorto!
Glielo assicurano con tutta
la forza della veritĂ .
Non avrebbe motivi per dubitare
ma il fatto sarebbe talmente sconvolgente,
che nel dubbio preferisce barricarsi nell’ostinazione.
GesĂą risorto sarebbe non solo
la vittoria contro la morte,
ma la più grande rivoluzione dell’umanità .
Ora per lui GesĂą deve suonare
oltre alle campane della risurrezione,
quella della misericordia.
Tommaso è tra i chiamati a testimoniare la risurrezione
e come potrebbe se egli stesso ne dubita?
Per otto giorni si alternano
ore di discussione amorevole
e di silenzio pensieroso.
Ecco di nuovo Gesù: – Pace a voi! –
ATommaso: – Metti il tuo dito nel posto dei chiodi
e guarda le mie mani;
stendi la tua mano
e mettila nel mio costato! –
– Mio Signore e mio Dio! – (Gv 20, 26-28).
GesĂą ha raccolto la sfida.
Ha risposto punto per punto alle parole di Tommaso,
che si arrende di fronte all’evidenza.
Tuttavia GesĂą non gli risparmia
il meritato rimprovero.
A lui dona il miracolo per la fede;
ma a chi è disposto a credere,
dona la fede senza il miracolo,
o meglio dona il miracolo della fede.
Dio dona la beatitudine.
Tommaso troverĂ la via della beatitudine
nella prova suprema del martirio.
P. G. Alimonti OFM cap, I Colori del Vespro, vol 2, pp 164-165-166