Che bel tramonto
Mi rattristava vedere il Padre che faceva sempre più fatica a camminare. Ormai per alzarsi e sedersi e per portarsi da una parte all’altra aveva bisogno dell’aiuto di un confratello. Il mio pensiero correva avanti nel tempo, tuttavia mi rifiutavo di immaginare il corpo del Padre disteso dentro una bara nel sonno della morte. Avevo bisogno di Padre Pio vivo. Ci aveva abituati a godere della sua compagnia, della sua parola, del suo sorriso.
A volte si aveva la sensazione che il tempo si fosse fermato, forse perché questo era il nostro desiderio, altre volte fuggiva sorprendentemente.
La felicità dovrebbe essere eterna anche sulla terra, ma poiché il tempo non è che vigilia, occorre uscire dal tempo ed entrare nell’eternità per godere il “sempre”.
Quando Gesù incominciò a dire ai discepoli che li
avrebbe lasciati per ritornare al Padre, essi erano assaliti
dalla tristezza. E Gesù spiegò, che se lo avessero amato veramente,
non sarebbero caduti nella tristezza.
Quanto era difficile capire e ancora piĂą difficile accettare!
I suoi discepoli dovevano pagare il prezzo della debolezza, della paura e dell’abbandono del Maestro per poi ritrovarlo nella luce della Risurrezione e per godere la conferma dell’amore nel fuoco della Pentecoste.
Anche per noi la Pentecoste scoppia dopo l’alba della Risurrezione. Il crogiuolo della fatica si nutre di speranza.
Il comandamento della carità è vestito, che non siamo sempre pronti ad indossare, e neppure il sì del sacrificio è facile da pronunciare.
Quanto è difficile essere creature nuove! Padre Pio era in questo insegnamento.
Il 4 settembre del 1916 scriveva a Maria Gargani: “Sollevate il vostro sguardo in alto; accrescerete il vostro coraggio … sursum corda! Vi rianimi a tutto il merito del trionfo, l’ineffabile consolazione, l’immortale gloria che ne ridonda a Dio” (Ep III, p 244).
Il Padre versava sangue per ottenere la conversione dei peccatori e la purificazione dell’anima dei figli suoi. Pensavo alla squisita carità con cui abbracciava i nostri cuori.
Cercavo nella mia miseria l’obolo della vedova da imbucare nel salvadanaio di Padre Pio. Che cosa?
Una preghiera in più, un dovere compiuto meglio, uno sforzo di pazienza, un gesto di carità , un’offerta più pura di me stesso nel ministero sacerdotale, un sì più lieto all’obbedienza all’osservanza della mia vita religiosa e cappuccina. Mi sentivo ancora lontano dall’essere creatura nuova.
L’impegno però di servire Gesù e di non deludere Padre Pio era sincero.
Terminata la benedizione eucaristica vespertina, ci ritrovammo con Padre Pio nel terrazzino vicino alla sua cella. Ognuno aveva qualcosa da dire. Io quel giorno avevo digiunato per il Padre.
Ad un certo punto la conversazione si interruppe.
Io, per dissipare l’imbarazzo del silenzio, guardando il sole che si rifrangeva attraverso i vetri delle finestre circostanti, esclamai: -Che bel tramonto!- Padre Pio, sempre attento a tutto, pacatamente scandendo,
disse: -Dipende, se hai mangiato o stai digiuno-.
Ovviamente gli altri non poterono capire il riferimento di Padre Pio, ma io fui premiato da quelle parole.
Per lui non c’erano segreti.
P.G. Alimonti OFM cap, I miei giorni con P. Pio, p 120