Santa Messa 7-2-24
SANTA COLETA BOYLET
«Desideriamo particolarmente, scriveva papa Pio XII, che santa Coletta di Corbie insegni ai nostri contemporanei, in mezzo alla così grande dissipazione e al tumulto degli eventi, che sono le cose che riguardano Dio e che portano ad abbracciare i suoi santissimi comandamenti ad avere il maggior valore » (5 dicembre 1947, Lettera per il quinto centenario della morte di santa Coletta di Corbie). L’influenza irradiata da santa Coletta, che ha riformato l’Ordine delle Clarisse nel XV secolo, continua ancora oggi.
Robert Boellet, mastro falegname dell’abbazia benedettina di Corbie, in Picardia, e sua moglie Marguerite conducono una vita cristiana e si dedicano ai poveri, ma gli anni passano e non hanno ancora figli. Invocano allora san Nicola e Marguerite, pur avendo già sessant’anni, dà alla luce una figlia, il 13 gennaio 1381. Al Battesimo, le viene dato il nome di “Nicolette” in segno di gratitudine a San Nicola ; sarà conosciuta con il diminutivo di Colette.
Far piacere a mio padre
Molto pia, Marguerite Boellet si confessa e comunica ogni settimana ; parla spesso alla figlia della Passione di Gesù Cristo, di cui ha avuto una visione da bambina. Per unirsi alle sofferenze di Gesù, Coletta fa molti sacrifici e si priva del cibo per dare il suo pasto ai poveri. Dotata di una saggezza superiore a quella della sua età, dichiara : « Se non amassi i miseri, mi sembra che non amerei il buon Dio. » All’età di sette anni, all’insaputa dei genitori, partecipa al mattutino cantato di notte dai monaci benedettini. La sua piccola statura dispiace al padre, al punto che, in un accesso di cattivo umore, arriva a lamentarsi di essere « il padre di una nana ». Rattristata dal dolore paterno, l’adolescente tredicenne prega il Signore : « Rimanere piccola non mi disturba, purché io sia grande nel tuo paradiso ; tuttavia, se lo vuoi, per far piacere a mio padre, donami di crescere. » Negli anni seguenti, cresce fino a raggiungere la statura di 1,79 m.
Nel 1399, Coletta è diventata una ragazza incantevole. I suoi genitori sono morti. Dom Raoul de Roye, abate di Corbie, al quale suo padre l’ha affidata e che funge da suo tutore, la spinge a sposarsi, ma lei rifiuta. Vedendosi oggetto dell’ammirazione dei giovanotti, chiede al Signore di offuscare la sua bellezza ; pochi istanti dopo, il bel colorito del suo viso scompare e lascia posto a un pallore che manterrà per tutta la vita. Coletta si sente chiamata a dedicarsi a Dio e ai poveri. A tal fine, entra a far parte delle beghine di Corbie ; si tratta di vedove o di vergini laiche che vivono in comunità o da sole, si dedicano alla contemplazione, al lavoro o al servizio dei poveri e mendicano il loro pane. L’attrazione di Coletta per la preghiera è soddisfatta, ma i suoi desideri di austerità e di penitenza non lo sono. Decide quindi di entrare nel convento delle Benedettine di Corbie, non come monaca, ma al servizio dell’ospedale annesso al convento. Tuttavia, facendone l’esperienza, nemmeno questo trova adatto a lei, e si dirige verso l’Abbazia delle Clarisse di Pont-Saint-Maxence vicino a Senlis ; ritenendosi indegna di essere ricevuta come monaca, si presenta come serva. Ma ancora una volta, trova le condizioni di vita troppo dolci : le suore non praticano più la rinuncia completa desiderata da santa Chiara. Coletta ritorna a Corbie, dove viene accolta con freddezza : la sua apparente incostanza irrita il suo tutore e le sue vecchie amiche le voltano le spalle. Nel 1402, incontra padre Jean Pinet, francescano, che le propone di vivere da reclusa sotto la regola del Terz’Ordine francescano.
Il 17 settembre 1402, all’età di ventun anni, Coletta viene installata in una casa composta da tre stanzette, attigua alla chiesa di Notre-Dame-en-Saint-Étienne, a Corbie, dove resterà per quattro anni. La porta di accesso ne è sigillata. La stanza esterna ha l’unica finestra dell’edificio ; attraverso di essa, viene fatto passare il cibo alla reclusa e lei può intrattenersi con coloro che lo desiderano. La stanza centrale è la camera da letto, contenente lo stretto necessario. La terza stanza è l’oratorio, con uno sportellino che si affaccia sul coro della chiesa : la reclusa può assistere agli uffici e alle Messe e ricevere la santa Eucaristia. Coletta non rimane oziosa, ma occupa il suo tempo a cucire vestiti per i poveri e tovaglie per l’altare o a fare altri lavori. Persone con l’anima nell’angoscia o nel dubbio, persino sacerdoti, vengono alla sua finestra e, dopo una conversazione tutta spirituale, ripartono consolate e rafforzate. A volte, tuttavia, persone mal intenzionate la chiamano per dirle delle cose insulse.
Non uscire mai
In questa solitudine, Dio rivela a Coletta i misteri del suo amore e il suo desiderio di fare di lei una riformatrice. A quell’epoca, l’Ordine francescano conosce, al suo interno, dei dissensi tra sostenitori dell’osservanza stretta della Regola di san Francesco d’Assisi e sostenitori di una disciplina meno rigorosa. Nel 1263, papa Urbano IV aveva concesso ai conventi del ramo femminile (le Clarisse, figlie spirituali di santa Chiara) l’autorizzazione a possedere beni in comune, il che contravveniva alla Regola primitiva di povertà assoluta. Per di più, questa nuova Regola addolcita veniva interpretata in uno spirito che si discostava ulteriormente dalle prime osservanze. San Francesco e santa Chiara manifestano anch’essi alla reclusa il loro desiderio di riforma dell’Ordine. Ma quest’ultima teme di essere oggetto di un’illusione del demonio e di essere infedele alla sua vocazione. Il suo confessore discerne il desiderio autentico di Dio in questa chiamata, ma Coletta si tira indietro : ora avanza il pretesto della sua ignoranza, ora fa valere il suo voto di non uscire mai dalla sua reclusione. Dio, allora, le invia nuovi segni : per alcuni giorni, le vengono tolte prima la vista e poi la parola. Alla fine si decide ad agire e recupera l’uso dei suoi sensi. Dio le indica il comportamento da tenere e le mostra un albero che rappresenta lei stessa, con ramificazioni che raffigurano i chierici e i laici che aderiranno alla riforma dei vari rami dell’Ordine francescano.
Nella sua Regola del 1223, san Francesco invitava i suoi discepoli a una pratica particolarmente rigorosa della povertà : « I frati non si approprino di nulla : né casa, né luogo, né alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo, servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l’elemosina con fiducia. Né devono vergognarsi, perché il Signore si è fatto povero per noi in questo mondo. Questa è la sublimità dell’altissima povertà che ha costituito voi, fratelli miei carissimi, eredi e re del regno dei cieli, vi ha fatto poveri di cose e ricchi di virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, quella che conduce fino alla terra dei viventi ! E, aderendo totalmente a questa povertà, fratelli carissimi, non vogliate possedere niente altro in perpetuo sotto il cielo, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo. » Conformandosi al pensiero del santo, Coletta porterà le sue religiose a una pratica fervente della povertà.
« La povertà, scrive papa san Giovanni Paolo II, confessa che Dio è l’unica vera ricchezza dell’uomo. Vissuta sull’esempio di Cristo che da ricco che era, si è fatto povero (2Cor 8,9), diventa espressione del dono totale di sé che le tre Persone divine reciprocamente si fanno… La povertà evangelica è un valore in se stessa, in quanto richiama la prima delle Beatitudini nell’imitazione di Cristo povero… Essa contesta con forza l’idolatria di Mammona, proponendosi come appello profetico nei confronti di una società che, in tante parti del mondo benestante, rischia di perdere il senso della misura e il significato stesso delle cose » (Vita consecrata, 25 marzo 1996, nn. 21 e 90). Cristo ha scelto un modo di vivere povero per guarire il nostro cuore dall’attaccamento smodato alle ricchezze. Il decimo Comandamento di Dio (Non desiderare la roba d’altri) ci insegna a relativizzare i beni di questo mondo ; « proibisce l’avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni ; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito » (CCC 2536). I desideri riguardanti i beni terreni, in se stessi, sono buoni, « ma spesso non restano nei limiti della ragione e ci spingono a bramare ingiustamente ciò che non ci spetta e appartiene, o è dovuto ad altri » (ibid. 2535). Con il voto di povertà, i religiosi vogliono mostrare che Dio è l’unica ricchezza in grado di soddisfare perfettamente il cuore umano. Ma il precetto del “distacco delle ricchezze”, cioè l’uso moderato e giusto dei beni delle terra in vista della salvezza eterna, è necessario per tutti per entrare nel Regno dei Cieli (cfr. CCC 2544).
Un’opinione erronea
Il Signore manda a Coletta degli ausiliari : la contessa Bianca di Ginevra, Isabeau de Rochechouart, baronessa de Brissay e il francescano Henri de la Balme, che la accompagneranno sulle strade incerte e la sosterranno di fronte alle opposizioni che incontrerà. Nel 1406, Coletta ottiene da Benedetto XIII l’autorizzazione a lasciare la sua reclusione. Imperversa allora il Grande Scisma d’Occidente e ci sono due Papi concorrenti. Dal 1378, infatti, la Chiesa è divisa : i cardinali, separati in diversi gruppi, hanno eletto due papi simultanei. Questo scisma durerà fino al 1417. Benedetto XIII, in realtà, non è il vero papa, ma Coletta, in buona fede, segue l’opinione del re di Francia e della maggioranza dei vescovi francesi, che si sono pronunciati a suo favore. Il 14 ottobre 1406, incontra Benedetto XIII a Nizza ; questi la nomina badessa e madre di tutte le religiose che si metteranno sotto la sua guida.
Di ritorno a Corbie, Coletta incontra una forte ostilità : viene disprezzata, accusata di spergiuro e persino di stregoneria. Si reca allora in Franca Contea, presso un fratello di Henri de la Balme, nel castello di Baume-le-Frontenay, accompagnata da tre ragazze di Corbie che diventeranno le prime monache dell’Ordine riformato. All’arrivo di altre postulanti, le suore si stabiliscono a Besançon, in un convento di Clarisse abbandonato. In conformità con la Regola di san Francesco, le ventotto suore della nuova comunità rinunciano a proprietà e rendite per vivere solo di elemosine. Il loro sviluppo e la loro irradiazione suscitano vive opposizioni, ma la Vergine Maria le rassicura : « Non temete l’inferno sollevato contro di voi ; mio Figlio ed io non vi abbandoneremo mai ; la vostra casa è per noi un paradiso di delizie. »
Sollecita nell’obbedire
Nel 1412, Coletta visita i Cordiglieri di Dole, che aiuta a riformarsi, poi fonda un convento a Auxonne, in Borgogna ; alcune elemosine, che arrivano al momento giusto, permettono la costruzione del convento. « Sei tu, mia buona Madre, ad aver fatto questo », dice Coletta alla Santa Vergine. « No, risponde Maria, è la tua sollecitudine nell’obbedire. » Nel 1415, ella realizza una fondazione a Poligny e vi istituisce una cappella dedicata a Notre-Dame de Pitié, per ringraziarla di aver fatto cadere, in modo quasi miracoloso, tutte le opposizioni a questo istituto. Il monastero è esiguo : servirà da modello per gli altri. Lì, Coletta cucina e partecipa alla lavatura dei piatti come l’ultima delle postulanti : « Servire Dio e cantare la sua lode, ecco ciò che abbiamo di più importante da fare », dichiara. Un’altra fondazione avviene a Seurre nel 1421. Mentre vi si reca, Coletta trova la strada bloccata dal Doubs in piena : fa un gran segno di croce poi attraversa il fiume camminando sulle acque, insieme a coloro che la accompagnano.
Nei secoli XIV e XV, imperversa la guerra dei Cento Anni tra i re di Francia e di Inghilterra. Coletta si attira la benevolenza sia della Casa di Borgogna, alleata dell’Inghilterra, che della Casa di Borbone, fedele al re di Francia, e mette a profitto questo vantaggio per creare dei ponti tra le due. Dopo aver trascorso sedici anni in Borgogna, decide di recarsi negli Stati del re di Francia. Fonda un convento a Moulins, la capitale del Borbonese ; si troverà in questa città nel 1429, contemporaneamente a santa Giovanna d’Arco. Seguono altre fondazioni e in particolare quella di Orbe, nel 1430, dove redige le Costituzioni (commento alla Regola) del suo Ordine riformato. Fin dai primi anni della sua vita di reclusa, ha infatti ricevuto dall’alto la piena intelligenza della Regola di santa Chiara. Il suo testo verrà approvato nel 1434 da Guillaume de Casal, Ministro Generale dell’Ordine Francescano, poi da diversi Papi. Queste Costituzioni verranno in seguito completate, dopo lunghi anni di esperienza. Coletta insiste molto sulla concordia e la carità fraterna tra tutte le consorelle. « In tutto ciò che dico, spiega alle sue suore, non intendo dichiarare nulla di contrario a san Francesco e a santa Chiara…, ma facilitare la buona comprensione delle loro Regole, in modo che possiate osservare in modo più perfetto e più sicuro i loro insegnamenti, secondo le circostanze dei tempi attuali. »
La riforma riguarda principalmente i seguenti punti : sono ammesse al convento solo le suore in grado di sostenere l’austerità della Regola. Le suore vivono in clausura, in un silenzio continuo ; hanno accesso al parlatorio solo con l’autorizzazione della badessa e solo in certi periodi dell’anno. Le suore vanno sempre a piedi nudi. Non possono possedere né beni mobili, né beni immobili, né terreni, né denaro. Praticano l’astinenza perpetua dalla carne e digiunano ogni giorno, tranne la domenica e a Natale. Le suore devono partecipare con assiduità all’Ufficio divino e ricevono la Comunione eucaristica ogni domenica.
Una profonda amicizia
Nel 1437, san Giovanni da Capestrano viene in Francia munito di un editto pontificio destinato a unire tutti i rami francescani. La riforma inaugurata da Coletta gli sembra essere una nuova fonte di divisioni all’interno dell’Ordine francescano. Ma, sul posto, è favorevolmente colpito dalla vita delle suore ; impara a conoscere Coletta e alla fine la approva. Da allora in poi, i due santi saranno legati da una profonda amicizia. Dopo diverse fondazioni riuscite, la fondatrice fallisce, nel 1445, nell’istituzione di un convento a Corbie, a causa dell’opposizione dei Benedettini e del Comune. Ma vengono fondati dei conventi in Italia.
Spesso, durante la sua vita, Coletta è gratificata da fenomeni mistici straordinari : estasi, levitazioni, conoscenza dello stato delle anime del purgatorio, dono di profezia. Compie molti miracoli, ma afferma con realismo e umiltà : « Solo la fede fa il miracolo ; io sono solo uno strumento nelle mani di Dio ». Tuttavia, per seguire più da vicino Cristo e lottare efficacemente contro la concupiscenza, si dedica con fervore alla penitenza. Durante i suoi numerosi spostamenti, accolta trionfalmente, a volte nelle dimore dei grandi di questo mondo, continua a mantenere la sua austerità e spesso la suscita nelle castellane che la ricevono. Ha anche sete di purezza assoluta in tutte le sue azioni, desiderando che siano ispirate puramente dall’amore di Dio e della sua santissima volontà, e non dal desiderio di apparire ed essere lodata. Quando è possibile, si confessa tutti i giorni. Introduce nelle sue comunità la pratica delle tre Ave Maria alla fine di ogni Ufficio liturgico, come scudo contro la triplice concupiscenza. Si mostra completamente disponibile ad ascoltare le sue consorelle e le persone che vengono a consultarla, dando prova sempre di una grande compassione e di una grande bontà verso tutti.
Fedele alla Chiesa, Coletta opera per l’estinzione dello scisma che lacera la cristianità occidentale. Incontra San Vincenzo Ferrer che, dopo essere passato dalla corte di Benedetto XIII a quella di Gregorio XII, il vero Papa, opera con coraggio e determinazione per l’unità nella Chiesa. La riformatrice interviene presso l’antipapa Felice V, proveniente dalla Casa di Savoia, con la quale lei ha molti legami, perché abdichi, ma invano. Dopo la morte di Coletta, egli farà la sua piena sottomissione al Papa legittimo e il suo scisma si estinguerà definitivamente.
Il Grande Scisma è stato una prova particolarmente grave per la Chiesa. Ma, come osservava papa san Giovanni XXIII, in una riflessione ispirata dalla fede e ancor oggi molto utile : « La Chiesa è viva, com’è vivo il suo Divino Fondatore ! La Chiesa avanza con la virtù stessa della vita, come Gesù, dopo essersi sottomesso al debito della natura mortale, procede vittorioso oltre la barriera di pietra che i nemici suoi hanno posta a guardia della tomba ! Anche per la Chiesa ci sono stati nel corso dei secoli altri nemici, che hanno cercato di chiuderla come in un sepolcro, celebrandone a volta a volta l’agonia e la morte. Ma essa, che ha in sé la forza invincibile del suo Fondatore, con Lui è sempre novellamente risorta, perdonando a tutti e assicurando serenità e pace agli umili, ai poveri, ai sofferenti, agli uomini di buona volontà (Radiomessaggio al mondo, 28 marzo 1959).
Santa Coletta di Corbie ci ha lasciato un esempio di amore per la Chiesa e la sua unità. « La Chiesa è una, insegna il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, perché ha come origine e modello l’unità di un solo Dio nella Trinità delle Persone ; come fondatore e capo Gesù Cristo, che ristabilisce l’unità di tutti i popoli in un solo corpo ; come anima lo Spirito Santo, che unisce tutti i fedeli nella Comunione in Cristo. Essa ha una sola fede, una sola vita sacramentale, un’unica successione apostolica, una comune speranza e la stessa carità » (n° 161). « Cristo fa sempre alla sua Chiesa il dono dell’unità, aggiunge il Catechismo, ma la Chiesa deve sempre pregare e impegnarsi per custodire, rafforzare e perfezionare l’unità che Cristo vuole per lei… La cura di ristabilire l’unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori. Ma bisogna anche essere consapevoli che questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell’unità della Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane. Perciò riponiamo tutta la nostra speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa, nell’amore del Padre per noi e nella forza dello Spirito Santo » (CCC 820, 822).
Il colorito della sua giovinezza
Nel dicembre del 1446, Coletta si reca a Gand, dove riceve un’accoglienza trionfale, nella città come nella sua comunità. Questa gioia è tuttavia mitigata dalla notizia della sua prossima morte. In effetti, Coletta, alla quale la sua data di morte era stata rivelata diversi anni prima, l’ha fatta discretamente sapere. Durante l’inverno, si manifesta una grave malattia e, tre settimane prima della sua morte, lei si rivolge alla comunità riunita attorno al suo letto : « Siate delle vere e sante religiose, amando Dio sovranamente. » Quindi entra in un grande silenzio. Il 27 febbraio, appare sul suo volto uno splendore soprannaturale. La settimana successiva si verifica un miglioramento inatteso, ma il 4 marzo il male che la consuma riprende improvvisamente. Si spegne pacificamente il lunedì 6 marzo 1447, all’età di sessantatré anni. Dopo la sua morte, le sue guance ritrovano il colorito che avevano nella sua giovinezza, prima che Dio glielo togliesse dietro sua richiesta. Secondo il suo desiderio, viene sepolta senza sudario né bara, nella nuda terra, nel cimitero di Gand. Nel 1783, le sue ossa verranno trasportate a Poligny (oggi nel dipartimento del Giura), il suo convento prediletto. La sua riforma si estenderà in Spagna e in tutte le colonie spagnole del Nuovo Mondo. Fu canonizzata da papa Pio VII, il 24 maggio 1807.
Il mondo contemporaneo, osservava san Giovanni Paolo II, è caratterizzato da “un materialismo avido di possesso, disattento verso le esigenze e le sofferenze dei più deboli e privo di ogni considerazione per lo stesso equilibrio delle risorse naturali. » La vita consacrata risponde agli interrogativi che suscita questa mentalità attuale con « la povertà evangelica, vissuta in forme diverse e spesso accompagnata da un attivo impegno nella promozione della solidarietà e della carità. » (Vita consecrata, n° 89). Lasciamoci ispirare dalla povertà di cui il Signore Gesù Cristo, e dopo di Lui santa Coletta, ci hanno dato l’esempio !
Autore: Dom Antoine Marie osb
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura 1 Re 10, 1-10
La regina di Saba vide tutta la sapienza di Salomone.
Dal primo libro dei Re
In quei giorni, la regina di Saba, sentita la fama di Salomone, dovuta al nome del Signore, venne per metterlo alla prova con enigmi. Arrivò a Gerusalemme con un corteo molto numeroso, con cammelli carichi di aromi, d’oro in grande quantità e di pietre preziose. Si presentò a Salomone e gli parlò di tutto quello che aveva nel suo cuore. Salomone le chiarì tutto quanto ella gli diceva; non ci fu parola tanto nascosta al re che egli non potesse spiegarle.
La regina di Saba, quando vide tutta la sapienza di Salomone, la reggia che egli aveva costruito, i cibi della sua tavola, il modo ordinato di sedere dei suoi servi, il servizio dei suoi domestici e le loro vesti, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nel tempio del Signore, rimase senza respiro. Quindi disse al re: «Era vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua sapienza! Io non credevo a quanto si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non hanno visto; ebbene non me n’era stata riferita neppure una metà! Quanto alla sapienza e alla prosperità, superi la fama che io ne ho udita. Beati i tuoi uomini e beati questi tuoi servi, che stanno sempre alla tua presenza e ascoltano la tua sapienza! Sia benedetto il Signore, tuo Dio, che si è compiaciuto di te così da collocarti sul trono d’Israele, perché il Signore ama Israele in eterno e ti ha stabilito re per esercitare il diritto e la giustizia».
Ella diede al re centoventi talenti d’oro, aromi in gran quantità e pietre preziose. Non arrivarono più tanti aromi quanti ne aveva dati la regina di Saba al re Salomone.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 36
La bocca del giusto medita la sapienza.
Affida al Signore la tua via,
confida in lui ed egli agirà:
farà brillare come luce la tua giustizia,
il tuo diritto come il mezzogiorno.
La bocca del giusto medita la sapienza
e la sua lingua esprime il diritto;
la legge del suo Dio è nel suo cuore:
i suoi passi non vacilleranno.
La salvezza dei giusti viene dal Signore:
nel tempo dell’angoscia è loro fortezza.
Il Signore li aiuta e li libera,
li libera dai malvagi e li salva,
perché in lui si sono rifugiati.
Canto al Vangelo Gv 17,17
Alleluia, alleluia.
La tua parola, Signore, è verità:
consacraci nella verità.
Alleluia.
Vangelo Mc 7, 14-23
Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo.
Dal vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».