Il Cantore
Francesco era poeta e cantore e, cantando, tutto il suo essere vibrava di commozione da sembrare, non uno che suonasse lo strumento, ma strumento egli stesso. Il provenzale era la lingua preferita per libertà da trovadore e per nostalgia della fanciullezza. La domanda che fa lassù, non è guizzo di vanità, è solo motivo in più di gioia.
Dalle Fonti Francescane
A volte raccattava da terra un pezzo di legno, lo posava sul braccio sinistro, prendeva nella destra un altro bastoncino e lo passava su quello, a modo dell’archetto d’una viola o d’altro strumento, facendo gesti appropriati, e così accompagnava, cantandole in francese, le lodi del Signore Gesù Cristo (Spec. 93 FF. 1791).
IL CANTORE
Ero frequentemente in Dio rapito.
L’anima mia godeva nel sentire
l’esilarante musica del cielo,
dov’è perfetto il suono come il gaudio.
Non mi rapiva solo melodia,
ma d’assoluto bene brama e pace.
Vi dico, più che sogno o realtà,
felicità del tutto inenarrabile.
Qualor mondano canto mi giungesse,
per me non era canto, ma lamento,
e in verità mi rattristava tanto,
che rinchiudeva l’alma nel silenzio.
Quando potevo, lungi dal frastuono
prendevo per mia cetra due legnetti.
Come ruscel di gaudio scaturiva
dal cuor la piena di commosse note.
Io non frenavo l’onda di dolcezza.
Voi mi direte: tu movevi a riso!
Ero strumento io stesso giubilante.
Vibravo e in pianto tutto mi scioglievo.
L’idioma nostro molto mi piaceva,
ma il provenzal di più mi rammentava
l’innamorato e tenero laudare,
e il viso e il core della mamma mia.
Vi stupirà quel che ora vi confido?
Entrando in Cielo, chiesi in cortesia:
dite, quel suono e canto era noioso?
“Era, Francesco, suon di paradiso!”.
P. G. Alimonti OFM Cap,
Collana “Ritratto Francescano”,
Volume I, pp 168