Santa Messa 16-1-23
PROTOMARTIRI FRANCESCANI
La Chiesa universale venera il diacono Santo Stefano quale primo martire della cristianità , ma anche le Chiese locali, nonché le congregazioni religiose, hanno da sempre prestato da sempre particolare venerazione ai loro protomartiri. In data odierna è l’Ordine dei Frati Minori a festeggiare quei confratelli che per primi hanno versato il loro sangue a perenne testimonianza della loro fede cristiana: Berardo, Otone, Pietro, Accursio e Adiuto, questi i loro nomi, furono i primi missionari inviati da San Francesco nelle terre dei Saraceni.
Sei anni dopo la sua conversione, fondato l’Ordine dei Frati Minori, San Francesco si sentì acceso dal desiderio di martirio e decise di recarsi in Siria per predicare la fede e la penitenza agli infedeli. La nave su cui viaggiava finì però a causa del vento sulle rive della Dalmazia ed egli fu costretto a ritornare ad Assisi. Il desiderio di ottenere la corona del martirio continuò comunque a pervadere il cuore di Francesco e pensò allora di mettersi in viaggio verso il Marocco per predicare il Vangelo di Cristo al Miramolino, capo dei musulmani, ed ai suoi sudditi. Giuntò in Spagna, fu però costretto nuovamente a fare ritorno alla Porziuncola da un’improvvisa malattia.
Nonostante i due insuccessi subiti, organizzò l’Ordine in province e provvide a mandare missionari in tutte le principali nazioni europee. Nella Pentecoste del 1219 diede inoltre licenza al sacerdote Otone, al suddiacono Berardo ed ai conversi Vitale, Pietro, Accursio, Adiuto, di recarsi a predicare il Vangelo ai saraceni marocchini, mentre egli optò per aggregarsi ai crociati diretti in Palestina, al fine di visitare i luoghi santi e convertire gli infedeli indigeni.Ricevuta la benedizione del fondatore, i sei missionari raggiunsero a piedi la Spagna. Giunti nel regno di Aragona, Vitale, capo della spedizione, si ammalò, ma ciò non impedì agli altri cinque confratelli di proseguire il loro cammino sotto la guida di Berardo. A Coimbra, in Portogallo, la regina Orraca, moglie di Alfonso II, li ricevette in udienza. Si riposarono alcuni giorni nel convento di Alemquer, beneficiando dell’aiuto dell’infanta Sancha, sorella del re, che fornì loro degli abiti civili per facilitare la loro opera di apostolato tra i mussulmani. Così abbigliati, si imbarcarono alla volta della sontuosa città di Siviglia, a quel tempo capitale dei re mori. Non propriamente prudenti, si precipitarono frettolosamente alla principale moschea ed ivi si misero a predicare il Vangelo contro l’islamismo. Furono naturalmente presi per folli e malmenati, ma essi non si scomposero e, recatisi al palazzo del re, chiesero di potergli parlare. Miramolino li ascoltò di malavoglia e, non appena udì qualificare Maometto quale falso profeta, andò su tutte le furie ed ordinò di rinchiuderli in un’oscura prigione. Suo figlio gli fece notare che farli decapitare subito sarebbe stata una sentenza troppo rigirosa, quanto sommaria, ed era dunque preferibile osservare perlomeno qualche formalità . Dopo alcuni giorni il sovrano li fece chiamare davanti al suo tribunale e, avendo saputo che desideravano trasferirsi in Africa, anziché rimandarli in Italia li accontentò imbarcandoli su un vascello pronto a salpare per il Marocco.Compagno di viaggio dei cinque missionari fu l’infante portoghese Don Pietro Fernando, fratello del re, assai desideroso di ammirare la corte di Miramolino. Sin dal loro arrivo nel paese africano, Berardo, conoscitore la lingua locale, prese subito a predicare la fede cristiana dinnanzi al re ed a criticare Maometto ed il Corano, libro sacro dei musulmani. Miramolino li fece allora cacciare dalla città , ordinando inoltre che fossero rimandati nelle terre cristiane. Ma i frati, non appena furono liberati, rientrarono prontamente in città e ripresero a predicare sulla pubblica piazza. Il re infuriato li fece allora gettare in una fossa per farveli perire di fame e di stenti, ma essi, dopo tre settimane di digiuno, ne furono estratti in migliori condizioni rispetto a quando vi erano stati rinchiusi. Lo stesso Miramolino ne restò alquanto meravigliato. Ciò nonostante dispose per una seconda volta che fossero fatti ripartire per la Spagna, ma nuovamente essi riuscirono a fuggire e tornarono a predicare, finché l’infante di Portogallo non li bloccò nella sua residenza sotto sorveglianza, temendo che il loro eccessivo zelo potesse pregiudicare anche i cristiani componenti il suo seguito.
Un giorno Miramolino, per sedare alcuni ribelli, fu costretto a marciare con il suo esercito, richiedendo anche l’aiuto del principe portoghese. Quest’ultimo vi erano però anche i cinque francescani ed un giorno, in cui venne a mancare l’acqua all’esercito, Berardo prese una vanga e scavò una fossa, facendone scaturire un’abbondante sorgente di acqua fresca con innegabile grande meraviglia da parte dei mori. Continuando però a predicare malgrado la proibizione del re, furono nuovamente fatti arrestare, sottoposti a flagellazione e gettati in prigione. Furono poi allora consegnati alla plebe, perché facesse vendicasse le ingiurie da loro proferite contro Maometto: furono così flagellati ai crocicchi delle strade e trascinati sopra pezzi di vetro e cocci di vasi rotti. Sulle loro piaghe vennero versati sale e aceto misti ad olio bollente, ma essi sopportarono tutti questi dolori con tale fortezza d’animo tanto da sembrare impassibili. Miramolino non poté che rimanere ammirato per tanta pazienza e rassegnazione e cercò dunque di convincerli ad abbracciare l’Islam promettendo loro ricchezze, onori e piaceri. I cinque frati però respinsero anche le cinque giovani loro offerte in mogli e perseverarono imperterriti nell’esaltare la religione cristiana.
A tal punto il Miramolino non resistette più a cotante avversioni e, preso dalla collera, impugnò la sua scimitarra e decapitò i cinque intrepidi confessori della fede: era il 16 gennaio 1220, presso Marrakech. In tale istante le loro anime, mentre spiccavano il volo per il cielo, apparvero all’infanta Sancha, la loro benefattrice, che in quel momento era raccolta in preghiera nella sua stanza.
I corpi e le teste dei martiri furono subito fuori del recinto del palazzo reale. Il popolo se ne impadronì, tra urla e oltraggi di ogni genere li trascinò per le vie della città ed infine li espose sopra un letamaio, in preda ai cani ed agli uccelli. Un provvidenziale temporale mise però in fuga gli animali e permise così ai cristiani di recuperare i resti dei frati e trasportarli nella residenza dell’infante. Questi fece costruire due casse d’argento di differente grandezza. Nella più piccola vi depose le teste, mentre nella più grande i corpi martiri. Tornando in Portogallo, portò infine con sé le preziose reliquie, che destinò alla chiesa di Santa Croce di Coimbra, ove sono ancora oggi sono oggetto di venerazione. Tale esperienza fece maturare in Sant’Antonio da Lisbona (da noi conosciuto come Antonio di Padova) l’idea di passare dall’Ordine dei Canonici Regolari ai Frati Minori. Appresa la notizia del martirio dei cinque suoi figli, San Francesco esclamò: “Ora posso dire che ho veramente cinque Frati Minori”. Furono canonizzati dal pontefice francescano Sisto IV nel 1481 ed il Martyrologium Romanum li commemora al 16 gennaio, anniversario del loro glorioso martirio.
Autore:Â Fabio Arduino
LITURGIA DELLA PAROLAÂ Â Â
Prima Lettura   Eb 5, 1-10
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì.
Dalla lettera agli Ebrei.
Fratelli, ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza. A causa di questa egli deve offrire sacrifici per i peccati anche per se stesso, come fa per il popolo.
Nessuno attribuisce a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, come Aronne. Nello stesso modo Cristo non attribuì a se stesso la gloria di sommo sacerdote, ma colui che gli disse: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato», gliela conferì come è detto in un altro passo:
«Tu sei sacerdote per sempre,
secondo l’ordine di Melchìsedek».
Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchìsedek.
Salmo Responsoriale   Dal Salmo 109
Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.
Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!
A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell’aurora,
come rugiada, io ti ho generato.
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».
Canto al Vangelo   Eb 4, 12
Alleluia, alleluia.
La parola di Dio è viva ed efficace,
discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Alleluia.
Vangelo  Mc 2, 18-22
Lo sposo Ă© con loro.
Dal vangelo secondo Marco.
In quel tempo, i discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da Gesù e gli dissero: «Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?».
Gesù disse loro: «Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno.
Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!».