Messa quotidiana

Omelia 20-10-17

Maria, Regina del Rosario prega per noi.

SAN CONTARDO FERRINI 

A Milano, c’erano furori patriottici e venti di guerra, quando il 4 aprile 1859, nacque Contardo, figlio di Rinaldo Ferrini e di Luigia Buccellati. Nella sua famiglia, però, c’era soltanto un grandissimo amore a Gesù e alla Chiesa, anche quando attorno suonavano le fanfare contro l’Austria per il nascente regno dei Savoia.
I suoi genitori lo educarono alla fede e alla preghiera. Lo spirito integerrimo del papà, intessuto di fede e di azione, fin da bambino lo condusse verso l’alto. Contardo, già da ragazzo sentì crescere in sé il desiderio di amare soltanto il Signore, in verginale dedizione, corrispondendo al suo amore con una vita interiore intensa di meditazione, di Confessione e di Comunione frequenti e regolari.

Un ragazzo prodigio

Avviato agli studi, assai intelligente, si impegnò con grandissimo profitto, conseguendo la licenza liceale presso il collegio delle Orsoline di Sant’Ambrogio nel 1876 a soli 17 anni. Nel tempo del positivismo, negatore di Dio e del Cattolicesimo, apparve come uno studioso maturo e un cattolico coerente, a fronte alta, con il nome di Gesù non solo nella mente ma anche sulle labbra.
Per continuare gli studi, ottenne un posto gratuito al Collegio Borromeo di Pavia, dove si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza di quella celebre Università. I professori e i condiscepoli si trovarono presto urtati dalla sua professione di fede aperta e sicura e qualcuno prese a deriderlo soprannominandolo “San Luigi” in segno di scherno.
Ma Contardo rispondeva con la sua tempra: colto, preparatissimo, sempre con risultati brillanti agli esami, forte nella fede e disinvolto e gioioso nel suo stile di vita. Delicato e gentile, amava la poesia, soprattutto nella contemplazione del grande libro della natura, scalando le vette delle Alpi.
Nel 1880, a 21 anni, battendo ogni primato, conseguì la laurea con una tesi sul contributo che lo studio dei poemi di Omero e di Esiodo diedero alla storia del diritto penale. La commissione d’esame si trovò davanti non un allievo, ma un maestro, nonostante la sua giovanissima età.
Contardo sarà, da quel giorno, un modello di laico cattolico, nella fede vissuta e nella profonda preparazione e competenza professionale.

Illustrissimo professore

Scoprì subito la sua vocazione scientifica: lo studio del diritto antico, particolarmente quello romano. Ottenuta una borsa di studio, si recò a perfezionarsi all’Università di Berlino: lì si legò d’amicizia ai giovani cattolici tedeschi, ammirandone la preparazione culturale, sociale e politica, l’azione caritativa in mezzo ai più poveri e la fede luminosa.
Nel 1883, il professor Ferrini conseguì la libera docenza in diritto romano e iniziò il suo insegnamento nell’Università di Pavia. Sulla cattedra portò la sua serietà di studioso e la passione del docente, nel far vedere con la scienza e con la vita come il diritto centrato sulla dignità della persona alla luce di Dio, contribuisce all’organizzazione di una società che riflette l’immagine stessa di Dio.
Dottissimo e amabile, si impose all’ammirazione dei colleghi e degli studenti per la profondità della sua cultura e per la chiarezza dell’esposizione. La parola era nobile e fluente, e il sorriso sempre buono e fraterno. La sua persona con il volto incorniciato dalla barba e dai capelli biondi, spirava una luce di superiorità intellettuale e spirituale che affascinava.
Nel 1887, insegnò a Messina, nel 1890 a Modena, ritornò a Pavia nel 1894 e vi rimase fino alla morte, risiedendo con i genitori a Milano. In campo scientifico importantissimi e ancora oggi molto conosciuti sono i suoi scritti; in particolare il suo trattato sul diritto penale romano rimarrà per allievi e studiosi testo fondamentale. Il professore manifestava il suo sapere con grande umiltà e ritrosia: negli studi spazia dal diritto alla filosofia, dalla glottologia alla letteratura italiana e straniera; in particolare era un appassionato ed esperto cultore del pensiero umanistico tedesco.
A chi gli domandava: “Perché non ti sposi?” e gli proponeva vantaggiose sistemazioni, rispondeva: “Io ho sposato la scienza”. In realtà, Contardo aveva sposato la causa di Gesù e della Chiesa come laico consacrato nel mondo, aprendo insieme con altri nobilissimi laici (pensiamo al suo collega il professor Giulio Salvadori) la via ai consacrati degli Istituti secolari del XX secolo. Preferì, dunque, rimanere celibe, ciononostante coltivò un elevato concetto del matrimonio sia come sacramento sia come istituto indispensabile nella società civile.
Gesù, l’unico della sua vita. Per Lui e per la sua gloria, tutto l’impegno della cattedra che gli fruttò ben duecento scritti che vanno dalle edizioni critiche di preziosi testi giuridici, agli articoli per riviste specializzate e varie voci per enciclopedie. Molti scritti minori sono poi stati raccolti in cinque volumi.

Uomo di Dio

La sua è opera originale, sia nell’esplorare le fonti, sia nell’indagare problemi ancora insoluti, segnando un tale progresso da far dire a Teodoro Mommsen che “Il secolo XX per gli studi di romanistica si sarebbe intitolato al professor Ferrini” e che “per suo merito il primato degli studi di romanistica passava dalla Germania all’Italia”. Dov’è allora, l’oscurantismo di cui ancora oggi viene accusato il Cattolicesimo, se ha uomini così?
Contardo ci ha pure lasciato elevatissime pagine ascetiche e mistiche nella sua corrispondenza con gli amici e nei suoi diari personali. Come quando, ancora giovanissimo, scriveva: “Io non saprei concepire una vita senza preghiera, uno svegliarsi al mattino senza incontrare il sorriso di Dio; un reclinare il capo la sera, senza il pensiero a Dio. Una tal vita dovrebbe assomigliare a notte tenebrosa, arida per un tremendo anatema di Dio… come si possa durarla in tale stato è per me un mistero. Io supplico il Signore che la preghiera non abbia mai a morire sulle mie labbra. Sì, perché quel giorno che tacesse la preghiera, vorrebbe dire che Dio mi ha abbandonato”.
In terra tedesca scriveva: “Divino potere della fede. Ignorando i confini di nazione e di lingua, ci consideriamo fratelli. Tanto è ammirabile l’universalità del Cristo; tanto è vero che in Lui non c’è greco, né barbaro, né scita, ma siamo tutti affratellati in Lui”. E poi quella pagina mirabile sull’Eucaristia: “È l’assimilazione dell’uomo a Dio. Chi sa dire a quale punto di santità giunga l’anima che spesso, con devozione ed affetto e con somma riverenza, si ciba di questo Pane purissimo, che è Gesù Cristo, e incorpora e immedesima in sé il prezzo della Redenzione? Ecco quindi qui il segreto della santità: grazie a Gesù, Pane di vita, noi vivremo e non morremo mai”.
Con questo spirito, Contardo Ferrini si interessò dei problemi sociali del suo tempo, aderendo alle attività caritative, come le Conferenze di San Vincenzo e partecipando alle competizioni elettorali civiche. Nel 1895 venne eletto consigliere comunale di Milano e per quattro anni si impegnò con scrupolo e competenza come amministratore pubblico e difese e promosse l’insegnamento della religione nelle scuole primarie.
Lo appassionava il rapporto tra scienza e fede che il materialismo imperante scioglieva nell’ateismo o nell’indifferenza. Coltivò, tra i primi in Italia, il progetto di una Università Cattolica. Non la vide; l’Università Cattolica nata a Milano nel 1921, lo riconobbe però suo precursore e ispiratore.

Modello del laicato

Sul finire dell’estate 1902, quando aveva solo 43 anni, e villeggiava a Suna sul Lago Maggiore, Contardo Ferrini fu colpito da un gravissimo tifo. Quando era ancora un giovane professore a Modena, quasi profeticamente aveva confidato a un amico: “Quanto a me, preferirei morire nella mia Suna. Se la morte mi cogliesse qui in Modena disturberei troppe persone, il rettore dell’università, i professori, le autorità dovrebbero scomodarsi in mille modi; a Suna mi accompagnerebbero all’ultima dimora soltanto gl’intimi, la gente del paese, i bambini, i poveri, quelli che soffrono, quelli che pregano, quelli che veramente giovano all’anima”.
Il 17 ottobre 1902, quando stava per iniziare l’anno accademico nella sua Università e i suoi studenti lo attendevano, brillante ed esemplare come sempre, andò incontro a Dio nella luce della santità dei vergini e dei martiri delle prime generazioni cristiane.
Mons. Achille Ratti, futuro Papa Pio XI che gli fu amico, anche per la comune passione per la montagna, disse di lui: “Mi parve quasi miracolo la sua fede e la sua vita cristiana, al suo posto e nei tempi nostri”.
Papa Pio XII lo beatificò il 13 aprile 1947, definendolo: “Il modello dell’uomo cattolico dei nostri giorni”.
Maria Santissima, alla quale Contardo aveva affidato la sua vita fin dalla fanciullezza, lo aveva condotto per mano nel mondo, nell’itinerario della perfetta configurazione a Cristo: studioso, docente, apostolo.
Nella diocesi di Pavia la sua memoria si celebra il 6 novembre.


Sale cinematografiche, circoli cattolici, scuole, istituti, vie e piazze sono state in passato intitolate al suo nome, eppure oggi sembra piombato su di lui un ingiustificato silenzio. La sua vita, abbastanza breve, interamente dedicata alla scienza, nello sforzo continuo di perfezionare sé stesso, non presenta tratti miracolistici ed eclatanti, eppure un Papa che gli era stato amico, Pio XI, ha il coraggio di affermare che «parve quasi miracolo la sua fede e la sua vita cristiana, al suo posto e nei tempi nostri».
Contardo Ferrini nasce nel 1859, in una Milano che è agitata da venti di guerra e sconvolta da furori patriottici. A scuola brucia le tappe: a 17 anni consegue la licenza liceale, a 21 si laurea in giurisprudenza e diventa in fretta uno dei giuristi più affermati e uno dei maggiori romanisti del suo tempo.
Il ragazzo prodigio, dopo un periodo di specializzazione a Berlino, a 24 anni è già insegnante di diritto romano nell’università di Pavia, dove tutti cominciano ad ammirarne la preparazione, la competenza e la serietà. Insegna poi a Messina e a Modena e nel 1894 fa ritorno a Pavia, dove resta fino alla morte.
Quasi duecento suoi scritti testimoniano la passione del ricercatore e il rigore dello scienziato e uno dei suoi testi sul diritto penale è stato per parecchi anni testo fondamentale per allievi e studiosi.
Ma, oltre alla passione per la scienza, il professore illustre si “specializza” nell’amicizia con Dio, con la spiritualità di un contemplativo e l’ardore di un santo. La sua epoca è contrassegnata dalla massoneria, dall’anticlericalismo e dalla corruzione dei costumi e il “professore” vive in essa senza lasciarsi contaminare.
Non si sente chiamato all’apostolato attivo: a lui basta offrire la testimonianza di una vita limpida, intessuta di preghiera, condita di dolcezza ed umiltà. E l’efficacia di questo “apostolato silenzioso” la testimoniano gli atei, i “lontani” e gli indifferenti, che mentre attestano che mai Contardo ha fatto proselitismo o tentato “conversioni”, tuttavia sempre “lascia intravedere Dio” con il suo comportamento e il suo stile di vita.
Impegnato nella San Vincenzo e in altre attività caritative, per quattro anni è anche consigliere comunale di Milano, dove si batte per conservare l’insegnamento religioso nelle scuole primarie. È anche uno dei primi a sostenere il progetto di un’università cattolica in Italia e per questo l’Università Cattolica del sacro Cuore, nata dopo la sua morte, riconosce in lui il precursore e l’ispiratore.
Contrae il tifo bevendo a una fontana inquinata e muore a 43 anni, il 17 ottobre 1902, durante un periodo di vacanza a Suna, sul Lago Maggiore.
Una insistente e duratura fama di santità circonda subito il “professore” che aveva dimostrato come sia possibile coniugare la fede con la ricerca scientifica, la preghiera con l’impegno socio-politico, le convinzioni cattoliche con il rispetto delle idee altrui.
Pio XII lo proclama beato il 14 aprile 1947, indicando in lui «il modello dell’uomo cattolico dei nostri giorni». Un buon esempio per tutti, dunque. Anche a più di cent’ anni di distanza.
Nella diocesi di Pavia la sua memoria si celebra il 6 novembre, giorno della sua professione nel Terz’Ordine Francescano. Nelle diocesi di Novara e Milano, invece, cade il 16 ottobre.
I suoi resti mortali riposano nella cripta dell’Università Cattolica del Sacro Cuore a Milano, tranne il cuore, venerato presso la chiesa parrocchiale di Santa Lucia a Suna dal 1942.

 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura   Rm 4, 1-8
Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, che diremo di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha ottenuto? Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio.
Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia.
A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia.
Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:
«Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate
e i peccati sono stati ricoperti;
beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!».


Salmo Responsoriale
    Dal Salmo 31 
Tu sei il mio rifugio, Signore.

Beato l’uomo a cui è tolta la colpa
e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio non imputa il delitto
e nel cui spirito non è inganno.

Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie iniquità»
e tu hai tolto la mia colpa e il mio peccato.

Rallegratevi nel Signore
ed esultate, o giusti!
Voi tutti, retti di cuore,
gridate di gioia!

Vangelo  Lc 12, 1-7 

Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.

Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:
«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze.
Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui.
Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».