Omelia 24-9-17
XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A
I primi e gli ultimi
La chiave di lettura proposta da Cristo stesso per la parabola si trova al v. 15. Il rimprovero fondamentale che viene fatto al padrone della vigna (Dio) è la sua mancanza di giustizia, rimprovero già formulato dal figlio maggiore al padre della parabola del figlio prodigo (Lc 15,29-30), rimprovero dei «buoni» Giudei nel sentire la dottrina della retribuzione (Ez 18,25-29), rimprovero di Giona per il perdono accordato da Dio a Ninive pagana (Gio 4,2).
Giustizia degli uomini e giustizia di Dio
In ognuno di questi casi i testi oppongono alla giustizia di Dio, concepita alla maniera degli uomini, il suo comportamento misericordioso, nuovo per gli uomini (Lc 15,1-2). A questa obiezione Cristo risponde: il padrone della vigna è «giusto» (alla maniera umana) coi primi, poiché dà loro ciò che era stato convenuto, ed è «giusto» con gli ultimi (alla maniera divina), perché non era impegnato da alcuna conversione nei loro riguardi.
Afferma poi il primato della bontà di Dio: la sua maniera di agire non contrasta con la giustizia umana, ma la trascende totalmente nell’amore. Di conseguenza il patto concluso fra il padrone della vigna e i suoi operai si presenta come un’immagine dell’alleanza fra Dio e i suoi, alleanza che non ha alcun rapporto con il contratto «do ut des» che i Giudei volevano trovarvi, ma è un atto gratuito di Dio (Dt 7,7-10; 4,7).
L’alleanza è pertanto un dono dell’amore gratuito del Padre, fonÂdato sulla sua assoluta libertĂ e suppone la nostra (Gal 3,16-22; 4,21-31). Applicando una giustizia ai primi e un’altra agli ultimi, Dio vuole prima di tutto attestare il suo amore per gli uni e per gli altri, tenendo conto delle diverse situazioni in cui ciascuno si trova.
Gesù vuol mettere in guardia i suoi connazionali dall’orgoglioso atteggiamento di chi avanza pretese nei confronti di Dio e giudica la sua bontà e la scelta operata: Dio è buono e fedele e la sua bontà , proprio perché sovrana, trova nuovi modi di affermarsi sempre di più per il bene dei chiamati. Nello stesso tempo la conclusione della parabola, in cui avviene un capovolgimento tra i primi e gli ultimi, vuoi essere un richiamo agli Ebrei che, primi alla chiamata di Dio, rischiano nella grettezza della loro giustizia di essere sopravanzati da coloro che sono stati chiamati successivamente, perché il regno è unicamente dono e grazia della bontà del Signore.
La logica del regno
«I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (prima lettura). La logica di Dio è diversa da quella degli uomini, talora, anzi, opposta ed inconciliabile con essa, comunque superiore sempre. Spesso quello che per l’uomo è guadagno, per Dio è perdita; e quello che per l’uomo sta al primo posto, per Dio viene all’ultimo. La parola di Dio, il suo giudizio comportano un radicale rovesciamento di valori: i primi sono gli ultimi (vangelo); i beati sono quelli che piangono; i veri ricchi sono quelli che abbandonano ogni cosa; chi vuoi salvare la propria vita la perde…
La legge del suo regno sembra essere il paradosso, l’inedito, l’inatteso. Dio sceglie le cose deboli e disprezzabili di questo mondo per confondere le forti e le stimabili. Non sceglie il primo ma l’ultimo, non il giusto ma il peccatore, non il sano ma l’ammalato. Fa più festa per la pecorella smarrita e ritrovata che non per le novantanove al sicuro nel chiuso.
Il Dio cristiano è l’«assolutamente-Altro», l’imprevedibile. Nessuna categoria umana lo può «catturare». Egli sfugge ad ogni definizione e rivela continuamente nuovi aspetti del suo mistero.
Le preferenze di Dio
Ma c’è un tratto del volto di Dio che Gesù ha rivelato con chiarezza e insistenza senza uguali; la preferenza data ai poveri, agli umili, agli ultimi. Essi, a contatto con la benevolenza gratuita e preveniente di Dio, sono destinati ad essere i primi, i ricchi, gli eletti.
Non bisogna dimenticare l’avventura del popolo ebraico che da primo divenne ultimo, da eletto divenne temporaneamente respinto. La parabola di Gesù conserva il suo valore di monito anche per i nuovi chiamati, che sono già entrati a far parte del regno, perché anche per essi vi è il pericolo di assumere l’atteggiamento dei primi chiamati, e di dimenticare che quanto hanno è solo dono e quindi non può motivare nessuna rivalsa e nessuna pretesa.
I cristiani deboli
Dal «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 13; CCL 41, 539-540)
Dice il Signore: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme» (Ez 34, 4).
Parla ai cattivi pastori, ai falsi pastori, ai pastori che cercano i loro interessi, non quelli di Gesù Cristo, che sono molto solleciti dei proventi del loro ufficio, ma che non hanno affatto cura del gregge, e non rinfrancano chi è malato.
Poiché si parla di malati e di infermi, anche se sembra trattarsi della stessa cosa, una differenza si potrebbe ammettere. Infatti, a considerare bene le parole in se stesse, malato è propriamente chi è già tocco dal male, mentre infermo è colui che non è fermo e quindi solo debole.
Per chi è debole bisogna temere che la tentazione lo assalga e lo abbatta, Il malato invece è già affetto da qualche passione, e questa gli impedisce di entrare nella via di Dio, di sottomettersi al giogo di Cristo.
Alcuni uomini, che vogliono vivere bene e hanno fatto giĂ il proposito di vivere virtuosamente, hanno minore capacitĂ di sopportare il male, che disponibilitĂ a fare il bene. Ora invece è proprio della virtĂą cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali. Coloro dunque che sembrano fervorosi nel fare il bene, ma non vogliono o non sanno sopportare le sofferenze che incalzano, sono infermi ossia deboli. Ma chi ama il mondo per qualche insana voglia e si distoglie anche dalla stesse opere buone, è giĂ vinto dal male ed è malato. La malattia lo rende come privo di forze e incapace di fare qualcosa di buono. Tale era nell’anima quel paralitico che non potĂ© essere introdotto davanti al Signore. Allora coloro che lo trasportavano scoprirono il tetto e di lì lo calarono giĂą. Anche tu devi comportarti come se volessi fare la stessa cosa nel mondo interiore dell’uomo: scoperchiare il suo tetto e deporre davanti al Signore l’anima stessa paralitica, fiaccata in tutte le membra ed incapace di fare opere buone, oppressa dai suoi peccati e sofferente per la malattia della sua cupidigia.
Il medico c’è , è nascosto e sta dentro il cuore. Questo è il vero senso occhio della Scrittura da spiegare.
Se dunque ti trovi davanti a un malato rattrappito nelle membra e colpito da paralisi interiore, per farlo giungere al medico, apri il tetto e fa’ calar giĂą il paralitico, cioè fallo entrare in se stesso e svelagli ciò che sta nascosto nelle pieghe del suo cuore. Mostragli il suo male e il medico che deve curarlo.
A chi trascura di fare ciò, avete udito quale rimprovero viene rivolto? Questo: «Non avete reso la forza alle pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite» (Ez 34, 4). Il ferito di cui si parla qui è come abbiamo giĂ detto, colui che si trova come terrorizzato dalle tentazioni. La medicina da offrire in tal caso è contenuta in queste consolanti parole: «Dio è fedele e non permetterĂ che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione ci darĂ anche la vita d’uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13).
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Is 55, 6-9
I miei pensieri non sono i vostri pensieri.
Dal libro del profeta Isaia
Cercate il Signore, mentre si fa trovare,
invocatelo, mentre è vicino.
L’empio abbandoni la sua via
e l’uomo iniquo i suoi pensieri;
ritorni al Signore che avrĂ misericordia di lui
e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore.
Quanto il cielo sovrasta la terra,
tanto le mie vie sovrastano le vostre vie,
i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 144
Il Signore è vicino a chi lo invoca.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.
Grande è il Signore e degno di ogni lode;
senza fine è la sua grandezza.
Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sinceritĂ .
Seconda Lettura Fil 1,20c-24.27a
Per me vivere è Cristo
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési.
Fratelli, Cristo sarĂ glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.
Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo.
Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo.
Canto al Vangelo   Cf At 16,14b
Alleluia, alleluia.
Apri, Signore, il nostro cuore
e comprenderemo le parole del Figlio tuo.
Alleluia.
Vangelo Mt 20, 1-16
Sei invidioso perché io sono buono?
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, GesĂą disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».