Omelia 17-9-17
XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A
Il perdono
Il giudaismo conosceva già il dovere del perdono delle offese, ma si trattava di una conquista recente, che riusciva ad imporsi soltanto con la compilazione di tariffe precise. La grettezza umana è sempre sollecita a ricercare una misura, una norma che le dia soddisfacimento. Perdonare, sì, ma quante volte? I rabbini, per sottolineare la liberalità di Dio, dicevano che egli perdona tre volte; le scuole rabbiniche esigevano dai loro discepoli di perdonare un certo numero di volte alla moglie, ai figli, ai fratelli, ecc., e questo tariffario variava da scuola a scuola. Pietro domanda a Gesù quale sia il suo tariffario.
Settanta volte sette
Gesù aveva detto di amare i propri nemici, e di pregare per quelli che ci perseguitano per essere figli del Padre che è nei cieli, il quale fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,44-45). Nel Padre nostro aveva insegnato a pregare: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Pietro, che dal contatto con Gesù ha capito che le misure fino allora ritenute valide ora non servono più, abbozza una risposta: «Fino a sette volte?». E più del doppio di tre, ed inoltre è un bel numero di valore simbolico che richiama la completezza. Gesù formula la sua risposta riprendendo il bel numero simbolico, ma in una moltiplicazione tale da proporre una completezza senza limiti. Bisogna perdonare sempre.
La parabola che segue dà ragione di questo dovere di perdonare senza limiti. Il senso della parabola è che Dio perdona gratuitamente il peccato a chi gli chiede perdono, dimostrando una benevolenza nei confronti dei peccatori assolutamente disinteressata. In conseguenza di questa esperienza del perdono di Dio l’uomo deve imparare a perdonare i propri fratelli, sia perché queste offese sono nulla di fronte alla gravità del peccato, sia perché per primo egli ha fruito del perdono di Dio.
Il perdono cristiano può cambiare il volto della storia
Il perdono delle offese e l’amore verso i nemici costituiscono una delle caratteristiche più vistose e più nuove della morale evangelica. Ma, come spesso capita, quanto più grande è l’esigenza, quanto più alta è la mèta indicata, tanto più meschina e povera appare la realizzazione nella vita pratica.
Quanto ha influito la dottrina evangelica del perdono delle offese sulla vita e sul comportamento pratico dei cristiani? Bisogna dire che tanti cristiani lungo la storia della Chiesa hanno preso sul serio la parola di Gesù, e l’agiografia cristiana è piena di esempi sublimi di amore e di gesti eroici di perdono e riconciliazione. Se oggi si parla, sempre più spesso, di pace, di disarmo, di soluzione pacifica delle controversie internazionali, anzi di cooperazione vicendevole e di aiuto ai popoli in via di sviluppo… bisogna riconoscere che molti cristiani hanno contribuito alla diffusione e alla maturazione di questi ideali del cristianesimo.
Il Vangelo ha avuto una importanza capitale nella educazione dei popoli dell’Occidente, e molte idee, istanze e stimoli positivi portati avanti da sistemi che pure combattono il cristianesimo, sono nati da una cultura di matrice cristiana e fortemente marcata dallo spirito evangelico.
Ma la storia dei popoli, anche di quelli cristiani, è piena di testimonianze negative: guerre, contese, stragi, vendette, ingiustizie, guerre di religione, conquiste coloniali; e oggi: l’imperialismo economico, lo sfruttamento del terzo mondo, l’industria della guerra e della morte. La responsabilità dei cristiani di fronte al Vangelo e ai fratelli non ancora illuminati dalla luce della fede è enorme. Le controtestimonianze smentiscono sul piano dei fatti ogni sforzo di evangelizzazione e compromettono la credibilità stessa del Vangelo.
Spezzare la catena dell’odio
L’iniziativa della riconciliazione viene da Dio, e la Chiesa e i cristiani devono essere gli operatori della pace nel mondo, devono creare un clima di riconciliazione, di perdono, di incontro, di fraternità in tutti i settori e a tutti i livelli, da quello internazionale fino alle piccole relazioni di vicinato e di lavoro, tra gli sposi, tra i figli, nei rapporti tra lavoratori e datori di lavoro, tra poveri e ricchi. Non c’è relazione umana, per piccola che sia, che non possa trovare un miglioramento attraverso la riconciliazione e il perdono. La spirale della violenza invoca l’amore cristiano, di cui un momento importante è il perdono. Solo con l’amore è possibile formare una comunità, anche quella nazionale.
Pastori siamo, ma prima cristiani
Inizio del «Discorso sui pastori» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 46, 1-2; CCL 41, 529-530)
Ogni nostra speranza è posta in Cristo. E’ lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria. E’ una verità, questa, ovvia e familiare a voi che vi trovate nel gregge di colui che porge ascolto alla voce di Israele e lo pasce. Ma poiché vi sono dei pastori che bramano sentirsi chiamare pastori, ma non vogliono compiere i doveri dei pastori, esaminiamo che cosa venga detto loro dal profeta. Voi ascoltatelo con attenzione, noi lo sentiremo con timore.
«Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell’uomo, profetizza contro i pastori di Israele predici e riferisci ai pastori d’Israele» (Ez 34, 1-2). Abbiamo ascoltato or ora la lettura di questo brano, quindi abbiamo deciso di discorrerne un poco con voi. Dio stesso ci aiuterà a dire cose vere, anche se non diciamo cose nostre. Se dicessimo infatti cose nostre saremmo pastori che pascono se stessi, non il gregge; se invece diciamo cose che vengono da lui, egli stesso vi pascerà, servendosi di chiunque.
«Dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?» (Ez 34, 2), cioè i pastori non devono pascere se stessi, ma il gregge. Questo è il primo capo di accusa contro tali pastori: essi pascono se stessi e non il gregge. Chi sono coloro che pascono se stessi? Quelli di cui l’Apostolo dice: «Tutti infatti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2, 21).
Ora noi che il Signore, per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio — di cui dobbiamo rendere conto, e che conto! — dobbiamo distinguere molto bene due cose: la prima cioè che siamo cristiani, la seconda che siamo posti a capo. Il fatto di essere cristiani riguarda noi stessi; l’essere posti a capo invece riguarda voi.
Per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra utilità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza.
Forse molti semplici cristiani giungono a Dio percorrendo una via più facile della nostra e camminando tanto più speditamente, quanto minore è il peso di responsabilità che portano sulle spalle. Noi invece dovremo rendere conto a Dio prima di tutto della nostra vita, come cristiani, ma poi dovremo rispondere in modo particolare dell’esercizio del nostro ministero, come pastori.
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Sir 27, 30 – 28, 9
Perdona l’offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Dal libro del Siràcide
Rancore e ira sono cose orribili,
e il peccatore le porta dentro.
Chi si vendica subirà la vendetta del Signore,
il quale tiene sempre presenti i suoi peccati.
Perdona l’offesa al tuo prossimo
e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.
Un uomo che resta in collera verso un altro uomo,
come può chiedere la guarigione al Signore?
Lui che non ha misericordia per l’uomo suo simile,
come può supplicare per i propri peccati?
Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore,
come può ottenere il perdono di Dio?
Chi espierà per i suoi peccati?
Ricòrdati della fine e smetti di odiare,
della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti.
Ricorda i precetti e non odiare il prossimo,
l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui.
Salmo Responsoriale Dal Salmo 102
Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Seconda Lettura Rm 14, 7-9
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore.
Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.
Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Canto al Vangelo Gv 13,34
Alleluia, alleluia.
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore:
come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Alleluia.
Vangelo Mt 18, 21-35
Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».