Omelia 10-9-17
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A
La correzione fraterna
Il brano del vangelo di oggi segue immediatamente il racconto della parabola della pecorella smarrita della quale diventa, quindi, un’applicazione concreta. Se un fratello ha commesso una colpa si deve applicare, in primo luogo, la correzione personale; se non ascolta, bisogna chiamare in aiuto qualche testimone; in terza istanza, conviene riferire alla comunità; e se non ascolta neppure questa, si deve, solo allora, considerarlo come un pagano o pubblicano, cioè come uno che s’è «messo fuori comunità».
Il peccatore è escluso
Lo sfondo ed il contesto di tutto il brano è quello dell’invito alla misericordia e al perdono. Non si tratta tanto di una «scomunica», quanto di un prendere atto che, nonostante il ricorso a tutti i possibili mezzi della riconciliazione e del dialogo fraterno, non c’è nel fratello la volontà efficace di comunione e di conversione. E tuttavia converrà anche ricordare che la Chiesa conserva il diritto di pronunciarsi contro i peccatori contumaci per non rovinare la comunità e al fine di far rientrare in sé il peccatore e convertirsi. In tal modo Paolo si pronunciò nei riguardi dell’incestuoso di Corinto (1 Cor 5,5-6).
La prassi penitenziale della Chiesa primitiva testimonia la grande serietà e coerenza dell’impegno della conversione. Il peccatore non trova il perdono di Dio che nella riscoperta della sua misericordia in atto nella Chiesa, specialmente nell’assemblea eucaristica che rende attuale la redenzione di Cristo.
E’ soprattutto nel sacramento della penitenza che la Chiesa esercita ed esprime la misericordia e il perdono di Cristo; ma, purtroppo, per molti cristiani lo stesso segno sacramentale della riconciliazione è diventato vuoto ed insignificante. Il sacramento è ridotto a un gesto abitudinario, privo di efficacia nella vita.
Uno degli aspetti più preoccupanti dell’attuale prassi penitenziale consiste, purtroppo, nella frattura tra segno sacramentale ed esperienza della comunità cristiana.
Il significato comunitario della penitenza
Ciò che rende imbarazzante l’applicazione dei temi contenuti nelle letture bibliche alle concrete assemblee eucaristiche domenicali è il fatto che molto spesso queste assemblee non sono vere comunità. Manca, cioè, un vero rapporto personale fra i membri, per cui ognuno si senta responsabile nei confronti del proprio fratello.
Per questo il discorso della correzione fraterna, del perdono domandato alla comunità oltre che a Dio, viene a mancare di un supporto «sociologico» importante. Bisognerà sfruttare, almeno, gli elementi del rito (domanda di perdono reciproco nel rito penitenziale della Messa e dono di pace) per far cogliere le ricchezze della prassi penitenziale della Chiesa.
La confessione, oltre ad essere conversione a Dio, è sempre anche riconciliazione con i fratelli; ci reinserisce nella Chiesa; da membra morte si ritorna membra vive, attive e responsabili. Dobbiamo riscoprire il significato comunitario del peccato e perciò della penitenza; essa è il sacramento in cui ogni comunità cristiana ritesse, sotto l’azione di Cristo, l’unità spezzata.
Una comunità di amore, fra gli uomini, è sempre una comunità di riconciliazione e di correzione fraterna. La comunione perfetta non è mai un felice possesso, ma una conquista continua, un dono da implorare dall’alto.
Correzione e incoraggiamento
Ma il vero amore, il perdono autentico non lascia le persone come sono, coi loro difetti e con i loro limiti. Amare un fratello significa aiutarlo a «crescere» a tutti i livelli, voler concretamente la sua «liberazione» da ciò che è difettoso e cattivo, impegnarsi per la sua umanizzazione piena. Per questo, correggere è opera di amore; non è mai spegnere energie ed entusiasmi; è tutt’altra cosa dalla critica.
Accanto alla correzione fraterna il cristiano fa largo uso di incoraggiamento. L’uomo attende dall’altro uomo qualcosa di diverso di un dono materiale; attende che l’altro gli si fermi vicino, che prenda contatto con lui, che si accorga che esiste, e ogni tanto glielo dica. Nulla è così incoraggiante come l’attenzione vigile, il rispetto non puramente formale, la inattesa parola di congratulazione, se non sono vuote formule di rito o espressioni convenzionali.
L’incoraggiamento, come la correzione, è una delle mille facce della carità.
La sapienza cristiana
Dal «Discorso sulle beatitudini» di san Leone Magno, papa
(Disc. 95, 6-8; PL 54, 464-465)
Il Signore dice: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5, 6). Questa fame non ha nulla a che vedere con la fama corporale e questa sete non chiede una bevanda terrena, ma desidera di avere la sua soddisfazione nel bene della giustizia. Vuole essere introdotta nel segreto di tutti i beni occulti e brama di riempirsi dello stesso Signore.
Beata l’anima che aspira a questo cibo e arde di desiderio per questa bevanda. Non lo ambirebbe certo se non ne avesse già per nulla assaporato la dolcezza. Ha udito il Signore che diceva: «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 33, 9). Ha ricevuto una parcella della dolcezza celeste. Si è sentita bruciata dell’amore della castissima voluttà, tanto che, disprezzando tutte le cose temporali, si è accesa interamente del desiderio di mangiare e bere la giustizia. Ha imparato la verità di quel primo comandamento che dice: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (Dt 6, 5; cfr. Mt 22, 37; Mc 12, 30; Lc 10, 27). Infatti amare Dio non è altro che amare la giustizia. Ma come all’amore di Dio si associa la sollecitudine per il prossimo, così al desiderio della giustizia si unisce la virtù della misericordia. Perciò il Signore dice: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5, 7).
Riconosci, o cristiano, la sublimità della tua sapienza e comprendi con quali dottrine e metodi vi arrivi e a quali ricompense sei chiamato! Colui che è misericordia vuole che tu sia misericordioso, e colui che è giustizia vuole che tu sia giusto, perché il Creatore brilli nella sua creatura e l’immagine di Dio risplenda, come riflessa nello specchio del cuore umano, modellato secondo la forma del modello. La fede di chi veramente la pratica non teme pericoli. Se così farai, i tuoi desideri si adempiranno e possiederai per sempre quei beni che ami.
E poiché tutto diverrà per te puro, grazie all’elemosina, giungerai anche a quella beatitudine che viene promessa subito dopo dal Signore con queste parole: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5, 8).
Grande, fratelli, è la felicità di colui per il quale è preparato un premio così straordinario. Che significa dunque avere il cuore puro, se non attendere al conseguimento di quelle virtù sopra accennate? Quale mente potrebbe afferrare, quale lingua potrebbe esprimere l’immensa felicità di vedere Dio?
E tuttavia a questa meta giungerà la nostra natura umana, quando sarà trasformata: vedrà, cioè, la divinità in se stessa, non più «come in uno specchio, né in maniera confusa, ma a faccia a faccia» (1 Cor 13, 12), così come nessun uomo ha mai potuto vedere. Conseguirà nella gioia ineffabile dell’eterna contemplazione «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo» (1 Cor 2, 9).
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura Ez 33, 7-9
Se tu non parli al malvagio, della sua morte domanderò conto a te.
Dal libro del profeta Ezechiele
Mi fu rivolta questa parola del Signore:
«O figlio dell’uomo, io ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.
Se io dico al malvagio: “Malvagio, tu morirai”, e tu non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.
Ma se tu avverti il malvagio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato».
Salmo Responsoriale Dal Salmo 94
Ascoltate oggi la voce del Signore.
Venite, cantiamo al Signore,
acclamiamo la roccia della nostra salvezza.
Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.
Entrate: prostràti, adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti.
È lui il nostro Dio
e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.
Se ascoltaste oggi la sua voce!
«Non indurite il cuore come a Merìba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova
pur avendo visto le mie opere».
Seconda Lettura Rm 13, 8-10
Pienezza della Legge è la carità.
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge.
Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.
Canto al Vangelo 2 Cor 5,19
Alleluia, alleluia.
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo,
affidando a noi la parola della riconciliazione.
Alleluia.
Vangelo Mt 18, 15-20
Se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello.
Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».