Messa quotidiana

Omelia 3-9-17

XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Anno A

La via della Croce

La prima lettura è un brano delle «confessioni», amare e dolorose, di Geremia per le ostilità che il profeta incontra nell’esercizio del suo ministero. Sono testi caratteristici di Geremia e assai importanti perché all’origine di una tradizione letteraria sul tema del profeta perseguitato.

Un ministero scomodo
Il ministero profetico, soprattutto, non è una vocazione alla tranquillità: è scomodo e scomodante. Geremia vorrebbe sottrarsi all’ingrato compito; ma la parola di Dio gli brucia dentro con tale urgenza che non può contenerla. La sua anima è terreno di battaglia dove si scontrano potenze difficilmente conciliabili fra loro: Dio, il mondo, la ricerca di se stesso. Al profeta non rimane che una possibilità: lasciarsi sedurre dal suo Signore.
Diverso è l’atteggiamento di Gesù. Per lui la sofferenza, la passione e la morte non solo non sono uno scandalo, ma sono in certo qual modo una conseguenza della situazione di peccato dell’uomo. La morte è la «sua ora» che si avvicina. E’ necessario che egli si rechi a Gerusalemme e soffra molto da parte degli anziani e dei sommi sacerdoti.
Nelle parole di Gesù la sofferenza e la morte non sono semplici previsioni di un fatto, fondate sulle circostanze (rifiuto da parte dei capi del popolo), ma qualcosa che «deve» venire, un momento specifico e determinante già prefigurato e preannunciato dai profeti nel piano salvifico di Dio.
Con queste affermazioni Gesù si stacca completamente dalle comuni concezioni messianiche del suo tempo, condivise anche dai suoi discepoli. Non è un messia politico, ma neppure un semplice profeta, bensì colui che è mandato a dare la sua vita.
E’ sintomatico come reagisce Pietro a questa rivelazione di Gesù: lui che, ammaestrato dal Padre, aveva confessato la missione messianica e la figliolanza divina di Cristo, ora, con incoerenza tipicamente umana, rifiuta con decisione l’immagine di un messia sofferente, di un servo crocifisso.

L’unica via per realizzare il profondo valore dell’uomo

La rinuncia alla propria vita e la sofferenza non sono però viste dal vangelo, né come una necessità cui rassegnarsi, né come una eroica ma disperata oblazione alla morte. Piuttosto sono considerate come la via per mettere in luce il profondo valore dell’essere umano.
Le parole di Gesù ci mettono di fronte due diversi modi di concepire la vita: quello che ragiona secondo la «carne e il sangue» e quello che vede le cose e gli avvenimenti con gli occhi di Dio. C’è infatti chi attende la salvezza dal successo terreno, dalle cose, dal «guadagnare il mondo intero», e quindi organizza la sua vita e la sua attività in questo senso; e c’è chi aspetta la salvezza dalle mani di Dio e a lui totalmente si affida, vivendo nella fedeltà alla sua parola e alla sua chiamata, anche se agli occhi del mondo «perde la sua vita» e va incontro al fallimento e all’insuccesso. Le due mentalità non dividono gli uomini su due schieramenti opposti; esse possono convivere nell’animo dello stesso individuo: nell’animo di Pietro, per esempio, che è pronto a confessare Gesù, messia e figlio dei Dio vivente, ma che subito dopo diventa «satana» perché cerca di allontanare Gesù dalla sua missione e dalla volontà di Dio.
C’è anche un altro modo di tradire la parola di Gesù: quello di accettarla sul piano teorico o dell’affermazione verbale per poi smentirla puntualmente nella prassi e nella vita. Quante volte ascoltiamo e ripetiamo senza batter ciglio le esigentissime e compromettenti affermazioni di Gesù: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, prenda la sua croce…», «Chi vuoi salvare la sua vita la perderà…», «A che serve guadagnare il mondo intero?». Alle esplosive affermazioni evangeliche opponiamo continuamente le barriere della nostra pigrizia e mancanza di volontà di conversione, le svuotiamo della loro radicalità, le riduciamo a slogans, a modi di dire paradossali, ma innocui.

La tecnica del compromesso
Sono tipici di certi cristiani alcuni atteggiamenti e comportamenti individuali, ed anche comunitari, dove la politica prevale sul vangelo, e il «modo di ragionare secondo gli uomini» la vince sul «modo di ragionare secondo Dio».
Da parte di certi cristiani, allenati a scendere a patti con tutti, si può celebrare l’Eucaristia, annuncio della morte e della risurrezione di Cristo, senza entrare in comunione con Cristo, con i fratelli; ci si può confessare (la metánoia, il cambiamento radicale di logica e di condotta!) senza convertirsi; ci si può credere cristiani e accettare solo una parte di Cristo…

Il Signore ha avuto misericordia di noi

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 23 A, 1-4; CCL 41, 321-323)
Siamo veramente beati se, quello che ascoltiamo, o cantiamo, lo mettiamo anche in pratica. Infatti il nostro ascoltare rappresenta la semina, mentre nell’opera abbiamo il frutto del seme. Premesso ciò, vorrei esortarvi a non andare in chiesa e poi restare senza frutto, ascoltare cioè tante belle verità, senza poi muovervi ad agire.
Tuttavia non dimentichiamo quanto ci dice l’Apostolo: «Per questa grazia siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene» (Ef 2, 8-9). Ribadisce: «Per grazia siete stati salvati» (Ef 2, 5).
In realtà non vi era in precedenza nella nostra vita nulla di buono, che Dio potesse apprezzare e amare, quasi avesse dovuto dire a se stesso: «Andiamo, soccorriamo questi uomini, perché la loro vita è buona». Non poteva piacergli la nostra vita col nostro modo di agire, però non poteva dispiacergli ciò che egli stesso aveva operato in noi. Pertanto condannerà il nostro operato, ma salverà ciò che egli stesso ha creato.
Dunque non eravamo davvero buoni. Ciò nonostante, Dio ebbe compassione di noi e mandò il suo Figlio, perché morisse, non già per i buoni, ma per i cattivi, non per i giusti, ma per gli empi. Proprio così: «Cristo morì per gli empi» (Rm 5, 6). E che cosa aggiunge? «Ora a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto», al massimo «ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene» (Rm 5, 7). Può darsi che qualcuno abbia la forza di morire per il giusto. Ma per l’ingiusto, l’empio, l’iniquo, chi accetterebbe di morire, se non Cristo soltanto, che è talmente giusto da poter giustificare anche gli ingiusti?
Come vedete, fratelli, non avevamo opere buone, ma tutte erano cattive. Tuttavia, pur essendo tali le opere degli uomini, la misericordia divina non li abbandonò. Anzi Dio mandò il suo Figlio a redimerci non con oro né con argento, ma a prezzo del suo sangue, che egli, quale Agnello immacolato condotto al sacrificio ha sparso per le pecore macchiate, se pure solo macchiate e non del tutto corrotte.
Questa è la grazia che abbiamo ricevuto. Viviamo perciò in modo degno di essa, per non fare oltraggio a un dono sì grande. Ci è venuto incontro un medico tanto buono e valente da liberarci da tutti i nostri mali. Se vogliamo di nuovo ricadere nella malattia, non solo recheremo danno a noi stessi, ma ci dimostreremo anche ingrati verso il nostro medico.
Seguiamo perciò le ve che egli ci ha mostrato, specialmente la via dell’umiltà, quella per la quale si è incamminato lui stesso: Infatti ci ha tracciato la via dell’umiltà con il suo insegnamento e l’ha percorsa fino in fondo soffrendo per noi.
Perché dunque colui che era immortale potesse morire per noi, «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). L’immortale assunse la mortalità, per poter morire per noi e distruggere in tal modo con la sua morte la nostra morte.
Questo ha compiuto il Signore, in questo ci ha preceduto. Lui che è grande si è umiliato, umiliato fu ucciso, ucciso risuscitò e fu esaltato per non lasciare noi nell’inferno, ma per esaltare in sé, nella risurrezione dai morti, coloro che in questa terra aveva esaltati soltanto nella fede e nella confessione dei giusti. Dunque ci ha chiesto di seguire la via dell’umiltà: se lo faremo daremo gloria al Signore e a ragione potremo cantare: «Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie, invocando il tuo nome» (Sal 74, 2).

 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Ger 20, 7-9
La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna.

Dal libro del profeta Geremia
Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto violenza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno;
ognuno si beffa di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo urlare: «Violenza! Oppressione!».
Così la parola del Signore è diventata per me
causa di vergogna e di scherno tutto il giorno.
Mi dicevo: «Non penserò più a lui,
non parlerò più nel suo nome!».
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 62
Ha sete di te, Signore, l’anima mia.

O Dio, tu sei il mio Dio,
dall’aurora io ti cerco,
ha sete di te l’anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz’acqua.

Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.

Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.

Quando penso a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia:
la tua destra mi sostiene.

Seconda Lettura
  Rm 12, 1-2

Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, vi esorto, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale.
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.

Canto al Vangelo
  Cf Ef 1,17-18
Alleluia, alleluia.

Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
illumini gli occhi del nostro cuore
per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati.
Alleluia.

   
Vangelo  Mt 16, 21-27
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso.

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».